UN GRIDO DI TERRORE DI UNA DONNA CHE FUGGE GIUNTO ALLA MIA FINESTRA

UN GRIDO DI TERRORE DI UNA DONNA CHE FUGGE GIUNTO ALLA MIA FINESTRA

Qualche notte fa siamo stati svegliati d’improvviso, un urlo in strada, terribile, «Aiuto! Aiuto!».Mi sono gettato alla finestra e ho visto una ragazza (o erauna donna?) correre, arrivava da una via laterale e si è inserita nel mio orizzonte all’improvviso, correva con una furia naturale, le ho visto in mano un casco, ho visto che correva con disperazione.Dopo qualche secondo nel mio campo visivo è apparso un uomo, proveniente dalla medesima via, invece tranquillo, incedente senza fretta, con il passo dal camminante. Si è fermato, probabilmente si è aggiustato una scarpa (o grattato una caviglia? L’orlo dei pantaloni?), dopodiché ha attraversato la strada e si è reso invisibile.La scena è durata forse meno del tempo che avete impiegato a leggerla.Nel frattempo avevo fatto il 112, perché ricordo l’effetto Genovese, nominato così dal sacrificio di Kitty Genovese (qui >https://it.wikipedia.org/wiki/Effetto_spettatore), e soprattutto perché il grido di terrore della ragazza, un grido così non l’avevo mai sentito.Abitiamo in città, in una zona dove talvolta si assembrano ragazzi, anche universitari che scherzano sporadicamente dicendo «Aiuto», dicendo «Polizia», e poi ridono, e ho imparato l’innocuità di quell’appello – Aiuto! Polizia! – cioè ho compreso, ascoltando un grido di aiuto vero, quanto questo sia distante da quello finto, giocoso.È un grido che è uno squarcio, è un colpo d’ascia, è qualcosa di irripetibile anche per scherzo al telefono, o con un amico.Intanto al 112 aveva risposto una voce di donna, sicura, io ero fermo – e ci mancherebbe, dal sicuro della casa, ai piani alti – nel raccontare che cosa avevo appena visto. E lei, la donna, mi ha passato la polizia. Altrettanto professionale l’uomo cui ho ri-raccontato il flash di cinque, sei secondi, la scena – forse erano dieci? – capitata a me rincoglionito, rinvenente da un sonno profondo nel pieno della notte, catapultato alla finestra, testimone di una richiesta di aiuto lugubre, gutturale. I cinque, sei, forse dieci secondi della scena sono diventati cinque o sei minuti nella narrazione duplice per la voce femminile e del poliziotto, bravi a capire quello che raccontavo – tutto deve essere logico, razionale, comprensibile, a-letterario, senza metatesto – e poi dalle mie parole sarebbe partita la volante con due uomini che avrebbero risolto il problema, qualunque esso fosse stato.Poi mi sono rimesso a letto.E non ho saputo più nulla.Nei giorni dopo ho cercato per quanto possibile informazioni – non c’è stata alcuna denuncia per aggressione nella mia zona. Ho ripassato quei cinque, sei, dieci secondi centinaia di volte, ho scacciato narrazioni buone o pessime con il lieto fine o con il peggio rincuoranti o drammatiche, ho speso razionalità per ri-definire l’episodio, mi sono confrontato: la donna non era in pericolo imminente, il suo terrore era vero e sonoro e quello ho nelle ossa, anche oggi, e però, nei cinque o sei o dieci secondi in cui ella è passata per i miei occhi e per la mia vita, in quelli non era in pericolo, era sì testimone di un’atrocità compiuta, qualunque sia stata, atrocità al suo modo di intendere. La giacca dell’uomo era verde o era rossa? Era buio. La donna aveva in mano un casco o una borsa? Mi pareva un casco, ma forse era una borsa. Era distante. L’uomo era nero o era bianco? Se era nero hai voglia i razzisti, ma non voglio dire bianco apposta, perché forse era nero, ma – obiettivamente – forse era del color delle olive, quindi volendo della Sicilia o di mio nonno piemontese da Lequio Berria olivastro. Riconoscerei la donna? No. Riconoscerei l’uomo? No. Erano distanti, non abitiamo al piano terra né al primo. Era buio.Cosa era vero? L’angoscia, il terrore, l’impossibilità del controllo sul proprio corpo, per colpa di qualcun altro. La corsa, la fuga, «Aiuto! Aiuto!». Questo era vero e questo le rimarrà, anche se, è quasi certo, nulla sia più accaduto da quando l’ho vista a quando si è persa nelle vie attorno, rimarrà a lei, una paura nella notte, condivisa con chi le ascoltasse il grido, dalle finestre.