ADORATORI DI PASQUA
Ieri sera ho visto in tv un film che mi ha colpito molto. Non per la qualità tecnica, sebbene fosse un bel film, girato bene con attori molto bravi, ma per la storia che raccontava e come la raccontava. Il titolo era “Risorto”, un film di un paio di anni fa che narrava i quaranta giorni successivi alla crocifissione di Gesù Cristo. Prima di continuare devo chiarire che io sono laica, o meglio agnostica, ovvero penso che la nostra vita è sostanzialmente qui, su questa terra, nel tempo che ci è concesso dalla natura, e che qui abbiamo il dovere morale di essere degni della vita stessa, e cioè buoni, onesti, rispettosi degli altri, ma allo stesso tempo capaci di vedere con lucidità ciò che ci circonda e il valore etico e spirituale, se c’è, di chi divide con noi il passaggio in questo universo. Come molti di noi, direi quasi tutti, sono nata cristiana, seppure in una famiglia i cui svariati rami professavano idee diverse e a volte contrapposte, da quelle liberali a quelle socialiste, da quelle laiche a quelle cattoliche, da quelle ateiste a quelle quasi clericaliste. Il fatto è che comunque da piccola ho studiato catechismo, ho fatto la Prima Comunione, seppure tardivamente, ho frequentato parrocchie, sono stata scout, insomma ho seguito quel percorso quasi inevitabile che l’essere nata qui, in questo tempo e in questo spirito delle cose assecondava. Ricordo che da bambina volevo assolutamente “credere”. Era un impegno con me stessa. Mi sforzavo fisicamente , chiudevo gli occhi, anzi, direi che li strizzavo per l’intensità che ci mettevo, e cercavo così di confluire nella santità. Cose da bambini. Naturalmente non succedeva nulla di sovrannaturale. Quindi pian piano, crescendo, leggendo, vivendo, pensando, riflettendo, smascherando interiormente alcuni, tanti, orpelli di cui la religione cristiana, come le altre temo, nei secoli si è in parte incrostata, insomma mettendo a fuoco quello che penso sia il senso di questa nostra vita, mi sono ritrovata serenamente laica. Questa premessa, forse troppo lunga ma mi perdonerete spero, ci voleva per dire che ieri sera a vedere quel film mi sono commossa. Narra la presa di coscienza di Clavio, un tribuno romano incaricato di trovare il corpo di Gesù dopo la sua morte, per evitare che si diffonda la notizia della resurrezione e di conseguenza, di fronte al miracolo, si mini il potere dell’autorità costituita. Il corpo non si trova, direi naturalmente, perché, secondo le narrazioni dei vangeli, è risorto. E così Clavio ossessionato dal suo dovere e dalla necessità di provare a se stesso che tutto è come sempre, i morti non resuscitano e i miracoli non esistono, si imbatte proprio in Gesù risorto. E’ un colpo. Tutto cambia. Tutto nella sua mente cambia. Ecco. Questo momento nel film è descritto benissimo. E io per un attimo ho sentito quella stessa cosa. Quell’essere illuminati da un senso di pace. Un senso di pace nuovo nella Storia. Interiore. Benedetto Croce scrisse un breve saggio, “Perché non possiamo non dirci cristiani”. Perché anche se non crediamo, se siamo serenamente laici, anche se pensiamo a volte che certi dogmi siano troppo ingenui o invece a tratti prossimi alla superstizione, che la Chiesa sia una sovrastruttura, e lo è temo portandosi dietro nei secoli errori, cecità e crudeltà; anche se la pace e il senso dell’esistenza umana è dentro di noi, vi è come germe da coltivare indipendentemente da altro, “il cielo stellato sopra di me, e la legge morale dentro di me” (Kant); anche se quindi, come me si è laici, agnostici, o altro termine che definisce l’essere fuori dalle religioni, noi siamo una comunità. Noi, intendo, figli spirituali e filosofici dei greci, degli ebrei, dei cristiani. Non siamo semplici osservatori. Ci siamo dentro. Ecco, tutto quanto detto sopra per dire, con un afflato immenso, un dolore infinito, che io sono uno di quei 290 morti dello Sri Lanka. Così lontani, così vicini. Viviamo in un tempo in cui essere cristiani è quasi una vergogna. “Adoratori di Pasqua” definiti da autorità (Obama) “Easter worshippers”. Ebbene io oggi sono cristiana. E abbraccio immensamente le duecentonovanta anime, le centinaia di feriti, le loro famiglie e i loro cari. Sono una di loro. E piango. E, scusate, ma ho anche rabbia.
