IL MALESSERE DIFFUSO DELLA FRANCIA DIVISA IN DUE
Il successo di Marine Le Pen alle elezioni europee trova spiegazioni contingenti nel movimento dei gilet gialli, la cui ondata di proteste ha pesato sugli umori dei francesi e ridotto il consenso di Emmanuel Macron. Il presidente, con innegabile coraggio, si è speso per rilanciare il progetto europeista, ma non ha trovato sponde in altri Paesi, né un alleato in Angela Merkel. Alla fine è apparso un cavaliere solitario, quando il vento, soprattutto in casa propria, soffiava da un altra parte. Marine Le Pen ha tratto vantaggi sia dalle ragioni della protesta sia dalla domanda di ordine seguita agli eccessi di violenza. Il risultato finale è comunque un testa a testa. I movimenti/partito di Macron e Marine Le Pen si spartiscono il panorama politico. La Francia ha cancellato non soltanto i socialisti, ma anche i gaullisti. Ci sono quattro momenti nella storia recente che spiegano la crescita della destra sovranista e antieuropea ben oltre la stagione dei gilet gialli. È un fiume carsico di risentimenti, rabbia sociale, nazionalismo, xenofobia, nostalgie di grandeur che riemerge sempre più impetuoso. Il primo momento è la primavera del 1992, quando i francesi approvano con un risicato 51 per cento (250mila voti di differenza) il trattato di Maastricht che avvia il passaggio all’euro. Contro si schierano l’ultra destra di Jean Marie Le Pen, la sinistra radicale e sovranista, ma anche una parte non marginale dei repubblicani, l’anima storica del gaullismo. Il secondo momento è la primavera di dieci anni dopo, quando Jean Marie Le Pen, fino a quel momento marginale, elimina al primo turno delle presidenziali il candidato socialista, Lionel Jospin, nonché primo ministro. È il primo segnale che il Front National ha fatto breccia nella statica alternanza socialisti/gaullisti che regge la Francia dal dopoguerra. Tre anni dopo, il 54,67 per cento dei francesi boccia il trattato costituzionale europeo. Il referendum è una solenne sconfitta per il presidente Chirac, ma è la maggioranza dei francesi che si sente defraudata dal passaggio all’euro e soffre la diluizione delle prerogative francesi in un sistema sovranazionale. In questa fase, il Front National è ancora un movimento xenofobo, antidemocratico, di cui le élite si vergognano e i cui rappresentanti stentano a ottenere dignità di parola, ma intanto si radica nel territorio, coglie il disagio delle classi medie e popolari, cattura il mondo giovanile, gioca le carte della sicurezza e dell’immigrazione incontrollata, della crisi economica e delle colpe dell’Europa. Marine Le Pen, che ha sostituito suo padre (ma il verbo corretto sarebbe «decapitato») compie un capolavoro politico. Emargina i vecchi ciarpami, stronca atteggiamenti antisemiti e razzisti, cambia il nome del partito (oggi Rassemblement Républicain) e invade il campo gaullista, diviso, in crisi d’identità. La destra popolare da un lato perde pezzi (Juppé e Raffarin veleggiano verso il centrismo di Macron) e dall’altro commette l’errore d’inseguire Marine Le Pen sui temi della sicurezza e dell’immigrazione senza domandarsi perché i francesi dovrebbero preferire la copia all’originale. Si arriva al quarto momento, le presidenziali del 2017. Marine Le Pen supera il 21 per cento dei voti al primo, sfiora il 34 al secondo turno e sfida Emmanuel Macron. La vittoria del giovane tecnocrate, sostenuto da un nuovo movimento che ha ridotto ai minimi termini i partiti tradizionali, fa dimenticare la reale dimensione del consenso. Uno scarto che avrà il suo riscontro nelle piazze di Francia fino ai 28 sabati consecutivi di disordini e proteste. Il successo di Marine Le Pen viene dunque da lontano. È l’espressione di un malessere diffuso, che esplode in varie forme, rivelatore di un disagio verso l’Europa non ancora metabolizzato nella Francia periferica, agricola, tradizionalista, in rotta di collisione con la Francia urbana ed europeista. Le tradizionali categorie politiche sono saltate assieme ai partiti che le esprimevano. L’alternativa sarà fra sovranisti antieuropei e la variegata famiglia politica che sostiene il presidente Macron, in una Francia spezzata in due.
