SAVONA. SCUOLA DIFFUSA : LA NUOVA DIDATTICA UNISCE CULTURA E CITTA’
“Niente offre certezze incrollabili e certezze gratiniche – scrivevaVittorio Zucconi– come l’ignoranza”. In un paese in cui un sottosegretario alla Cultura si vanta di non leggere libri da tre anni, c’è un progetto elaborato da un gruppo di studenti delNabache consentirebbe a tutti (giovani e anziani) di dialogare con le grandi anime del passato. Ne parliamo conEster Manitto, che ha sviluppato l’idea durante uno dei suoi corsi dibrand design. “Ho chiesto agli studenti di mappare – o come si dice oggi, dibrandizzare– il Cimitero Monumentale. Oggi se vuoi andare daGiorgio Gaber,Bruno MunarioDario Fonon sai come fare. Il progetto prevede che, attraverso più mezzi – cartacei, grafici, web – o grazie a un un totem, quando arrivi alla tomba di Gaber copi il codiceQre trovi non solo tutto ciò che lo riguarda – dalle canzoni alla biografia – ma anche dellelinee guidache ti consentono di metterlo in relazione con altri illustri ‘colleghi’ presenti al Monumentale, che si tratti di cantanti, poeti, scrittori, etc. E’ un modo non solo per bussare alla porta del tempo per ‘far parlare’ i maestri del passato, ma anche per rendere un luogo più vivo”. Il progetto – cheDanilo Maramotti, l’ex vignettista dell’Unità, ha definito “la versione web diSpoon River” – fa parte di un percorso didattico sperimentale che Ester Manitto ha battezzato“la scuola diffusa”: “Quando ho cominciato a insegnare comunicazione visiva,basic design,brand design, al Naba, alla Marangoni o al Politecnico – spiega – ho visto che gli studenti, quasi tutti fuori sede e per metà stranieri – dallaCinaalKazakhstan– trascorrevano la maggior parte del loro tempo nella struttura e non beneficiavano di tutto quello che invece la città diMilanooffre, specie nell’ambito del design e che è un tutt’uno con la città di Milano”. A quel punto Ester ha cominciato proporre dei percorsi didattici. Per esempio alloshowroomdi “Bulthaup”, grande marchio di cucine tedesche, o a quello delle cucine Minotti, per spiegare come il prodotto siaimprescindibiledalla grafica, dalla luce, dallo spazio. In una dimensione esperienziale della didattica è molto più facile spiegare la coordinazione delle immagini piuttosto che ricorrendo a overdosi di Powerpoint. “Vorrei che anche qui aSavona, la mia città – dice Ester – il massimo monumento locale, e cioè lacappella Sistina, avesse la stessa cura, la stessa ‘impaginazione’. Una buona grafica salva la vita…”. Col termine di “aule diffuse” Ester Manitto indicaitinerari didatticiche toccano ad esempio la Fondazione Castiglioni, la Fondazione Albini, la Fondazione Magistretti, etc. e ogni volta agli studenti viene proposto un progetto. Un gruppo di ragazze cinesi, ad esempio, ha immaginato per il centro di Milano untram storico, che funzioni come una specie di bar itinerante. L’idea della “scuola diffusa” nasce da un “maestro” illustre:Angiolo Giuseppe Fronzoni. Architetto, designer, grafico ed educatore, nacque aPistoianel 1923 e morì a Milano nel 2002. Nella sua “bottega” di corso Magenta, fu, sin dal 1984, il profeta di unminimalismoche combatteva, nel design, ogni forma di spreco inteso comesuperfluo, eccesso, gratuita ridondanza. Ester, che fu sua allieva e poi sua assistente, lo descrive così nel blog “Pieni di giorni’: “Alla scuola-bottega di Fronzoni le materie erano volutamente semplificate per esserecoerenti: progettazione bi e tridimensionale, disegno geometrico, cultura del XX secolo. Quest’ultima includeva visite guidate a studi di professionisti,showroom, mostre, aziende, atelier. Ci recavamo a trovare Bruno Munari,Gianni Berengo GardineAldo Ballo,Bob Wilson, ma facevamo anche incontri guidati all’interno di aziende. Fronzoni spostava i confini della scuola, li estendeva. La scuola doveva entrare in contatto col mondo reale e il mondo reale doveva entrare nella scuola, per questo spesso le lezioni alla bottega erano tenute daespertinel settore del design o del mondo della cultura. Nell’epoca virtuale, dove attraverso Internet si possono approfondire argomenti in modo capillare, forse la scuola deve assumere un ruolo diverso. La scuola dovrebbe diventare una sorta di esperienzairripetibile, cioè non affidabile a un tutor digitale”.
