LA PAURA E LA RESILIENZA IN AFRICA

LA PAURA E LA RESILIENZA IN AFRICA

Il mio ultimo giorno in Niger lo passo a montare un reportage girato alla velocità della luce. Tanto non avrei potuto far altro perchéè il sabato prima della fine del Ramandan ed è allerta attentati anche nella capitale Niamey. Rischio che a dire il vero avevamo percepito immediatamente. Il paese è presidiato: non solo dall’esercito nigerino. Ci sono militari francesi, nostri dell’esercito e i carabinieri, gli americani con i C130 (ne vediamo uno all’aeroporto di Niamey e un altro ad Agadez…)Tutti i paesi ai confini da nord a sud del Niger (dalla Libia al Burkina Faso dalla Nigeria al Mali) sono in forte instabilità a causa delle sempre più crescenti milizie di terroristi islamisti Al Qaeda da una parte, lo Stato Islamico del Grande Sahara dall’altra.La capitale è ancora sotto controllo perché presidiata nei punti strategici da polizia ed esercito. I ristoranti per stranieri sono sorvegliati e all’ingresso ti controllano borse e zaini. Anche adesso in aeroporto mi aprono la borsa almeno quattro volte. Persino dopo aver passato il gate e prima di salire in aereo. E io questa sensazione di insicurezza non l’avevo mai provata così come adesso. Mai successo di provare un fremito sul taxi che mi porta all’aeroporto mentre una fila di carretti carichi di balle di fieno tirati da asini si fermano ad un crocevia affollato. E se ora a qualcuno viene la briga di farsi saltare in aria? Provare per credere.Provate almeno a capire cosa vuol dire vivere con la paura addosso. Immaginate cosa vuol dire vedere tuo marito massacrato da miliziani cristiani in Centro Africa come mi ha raccontato Aichatou, violentata dopo il massacro. Immaginate cosa vuol dire scappare con tuo marito dopo aver visto bruciare la tua casa dai terroristi islamisti che decimano interi villaggi in Darfur, come mi ha raccontato Nourasham con la quale non allentiamo per interminabili secondi il nostro abbraccio dopo il suo racconto tra le le lacrime generali.Cercate di entrare – provateci almeno – nel mondo di chi è costretto a fuggire, a volte senza neanche sapere dove andare: esclusivamente per mettersi in salvo non avendo altra via se non quella di affidarsi ai trafficanti. Finendo in un girone che può portarli fino all’inferno libico. “Oggi – mi dice il fixer mentre mi porta in aeroporto – ho visto le immagini di tre donne nigerine tenute in una prigione libica per tre anni. Erano andate in Libia per cercare lavoro: ora sembrano fantasmi. Una di loro aveva un bimbo piccolo … era stato concepito e nato lì dentro. Ora forse finalmente potranno essere liberate e torneranno in Niger”.Esseri umani, non fantasmi, ai quali nessuno dovrebbe permettersi di togliere la dignità.Che Dio si prenda cura di loro e abbia pietà di noi.Io torno a casa dove porterò con me tutte le persone incontrate e le loro storie: ma sopratutto porterò per sempre con me le Madonne della Resilienza incontrate in questi giorni nei centri di transito di Agadez e Hamdallaye. Loro continuavano a ringraziarci per averle ascoltate e “viste”: noi per averci dato un’altra lezione di vita. Au revoir Niger. À bientôt Afrique