I MORTI NON MUOIONO. LO ZOMBIE MOVIE SOFT E PESSIMISTA DI JIM JARMUSCH

Gli zombie sono gli unici mostri al plurale, senza identità personale, sono una massa, una classe inferiore addirittura: eppure qui, neI morti nonmuoiono,The Dead Don’t Die, desiderano bere un altro goccio di caffè caldo, oppure vogliono tornare un secondo a giocare a tennis o a golf, non sono altro che piccoli uomini dai piccoli sogni scatenati per le strade di Centerfield – 700 anime più le loro – cittadina americana dove tutti vivono di un’assoluta mediocre medietà. Non morti compresi. Che gli zombie facciano da morti le stesse cose che fanno da vivi è la sconsolante verità enunciata dal quasi B movie in versione indie girato da un Jim Jarmusch più rilassato e post moderno del solito, soprattutto in paragone aSolo gli amanti sopravvivono(2013), dove affrontava con altra forza amore e vampirismo. L’omaggio stesso a George Romero e ai suoi zombie proletari incazzati è sornione, molto felpato. A poco a poco capiremo perché. I protagonisti del film, i poliziotti Bill Murray, Adam Driver e Chloë Sevigny, la misteriosa becchina esperta di arti marziali Tilda Swinton, il razzista Steve Buscemi, l’operaio generoso Danny Glover qui mirano tutti alla testa. Sparano o la spiccano dal collo. Kill the head! è il suggerimento che corre di bocca in bocca. È infatti l’unica cosa da fare, con malcelata indolenza, quasi con noia o sopportazione, per rimandare i morti nel loculo da cui sono usciti per colpa di una deviazione della Terra dalla sua abituale orbita. Mentre un eremita straccione che vive nei boschi, un Tom Waits irsuto, spia tutti al binocolo, trovando insensati i comportamenti sia dei vivi sia degli altri. Jarmusch è l’eterno ragazzo dai capelli bianchi di un cinema che affronta a modo suo l’alienazione, la banalità e la ferocia del quotidiano, e mette in scena personaggi sghembi, devianti dalle norme per intelligenza, gentilezza e persino idiozia, tutti passaporti per vivere una vita al limite del sopportabile. Così faceva una volta, inDaunbailò(1986) o inBroken Flowers(2005), e ha fatto appena ieri, quando era tornato all’ispirazione degli esordi con il candido e splendidoPatterson(2016): il racconto della vita di un uomo comune in una cittadina come tante, un autista d’autobus, appeso al filo della poesia che ne segna le giornate altrimenti tutte uguali. Qui invece non c’è redenzione alcuna anche perché i protagonisti hanno già letto il copione. Ecco quello che non va: sanno che secondo lo script finirà tutto malissimo. Il fatto che all’inizio e alla fine del film Driver e Murray guardino in macchina e svelino il trucco, ammettendo che stanno recitando, più che una bizzarria del regista per spaesare lo spettatore è un invito garbato a prendere coscienza del disastro. Con la flemma imbambolata di Driver e Murray. Attenzione, sembra dire Jarmusch: non c’è neanche lo schermo della finzione che separa loro e noi spettatori. Guardatevi alle spalle in platea. Guardatevi dentro. PS: Il 12 giugnoThe Dead Don’t Dieapre Le anteprime dal Festival di Cannes a Milano. Il programmaqui.