ZILIA

DI SANDRO MEDICIEra il tempo dell’uva nera. Era il tempo che Zilia più amava. Tutto di lei rinvigoriva e si rianimava. Diventava ancora più bella, ancora più bruna.Zilia era stata la prima a nascere da quando la sua gente aveva deciso di fermarsi e sistemarsi ai margini del paese, là dove scivolano le ultime torri normanne. Zilia era la prima zingara della nuova terra. Alla sua nascita ci fu una grande festa: violini e fisarmoniche suonarono tutta la notte e i fuochi non si spensero che all’alba.La ragazza non conosceva le pianure del centro Europa, i laghi ungheresi, i territori valacchi, dove la sua gente aveva per secoli vagato. Suo padre Guglielmo era bulgaro, veniva dalla Tracia. Più incerta, invece, l’origine di Sara, sua madre, forse ebrea o forse no: di lei si sapeva solo che era stata raccolta sulla sponda della Moldava.Occhi di felce e testa nera, grandi passi e odori di lince. Quando passava tutto si fermava. Non batteva il martello dello stalliere né girava la ruota della terracotta. E gli occhi degli zingari seguivano quel cammino, che suggeriva desiderio e venerazione. Zilia sapeva quel che suscitava e ne provava piacere e vergogna insieme. Sedici anni e l’estate che finiva.Una mattina di quell’estate che finiva, Zilia s’era alzata con le vertigini: nella notte aveva perso sangue, sangue bruno e denso. La sera dello stesso giorno sulle guance della ragazza era comparsa una peluria morbida ma insistente. E la mattina dopo la sua voce era una voce di vecchio che parlava forestiero.Venne chiamato Ralis, lo zingaro più anziano. Per ore ascoltò la voce di Zilia; poi se n’era andato senza parlare e senza guardare nessuno. Sara e Guglielmo l’avevano seguito, ma Ralis esitava a rispondere, resisteva, diceva solo che non aveva capito, che non conosceva quella voce, quelle parole. Ma non era vero.Aveva riconosciuto la parlata che usciva dalla bocca della ragazza. Era l’antica lingua degli zingari danubiani, che spesso si fermavano dove il grande fiume si disperde e poi finisce. Era la voce degli zingari eretici, maghi maligni delle paludi, amici dei serpenti del grande delta.Per giorni Zilia se ne stette coricata a parlare da vecchio, mentre ormai sulla faccia le era cresciuta una barba scura. Tutte le notti perdeva sangue. E il suo ventre si gonfiava e si sgonfiava come una zampogna suonata.Intorno a lei, gli zingari pregavano la Madonna nera.Poi, in una notte fredda, quando in cielo s’era alzata una luna piena piena, la ragazza s’era svegliata di soprassalto e aveva cominciato a urlare con la sua voce forestiera. Era uscita di casa come una ventata e s’era messa a correre nuda per le strade, salendo su per il paese.Sara e Guglielmo l’avevano inseguita, tentando di fermarla: accarezzandola sulla testa e parlando piano, abbracciandola per non lasciarla andar via. Disperati, le avevano mostrato anche un crocefisso. Ma lei, con tutta la forza che si ritrovava quella notte, riuscì a svincolarsi e a riprendere la corsa urlando e stridendo. All’alba s’era finalmente calmata. Solo allora i suoi genitori, esausti e piangenti, avevano potuto riportarsela a casa.Dopo un sonno pesante, la sera Zilia aveva ripreso a parlare da vecchio, tra spasmi e contorsioni.Tutti gli zingari s’erano allora riuniti e avevano parlato a lungo. Guglielmo era andato all’assemblea, Sara era rimasta con Zilia. Alla fine la decisione era stata quella di portare la ragazza nella chiesa dell’Incoronata, davanti alla Madonna nera.Così, il giorno dopo, una processione era partita dal quartiere zingaro. Distesa su una carrozza, accanto alla madre che l’accarezzava, Zilia sembrava placata.Ma davanti alla chiesa la voce di vecchio aveva ricominciato a strillare e ripeteva sempre la stessa frase, che Ralis capiva e s’era finalmente deciso a tradurre:“… Mi hanno ammazzato e mi hanno sepolto sotto una siepe di viole, mi hanno ammazzato e mi hanno sepolto sotto una siepe di viole…”.E un profumo di viola si spandeva.Gli zingari si guardavano stupiti e spaventati. Poi, Guglielmo in testa, alcuni di loro presero di peso la ragazza. Ma proprio sulla porta della chiesa le forze calavano e non si riusciva a entrare, mentre Zilia soffiava vapori e sputava acido, e strillava con la voche da vecchio, sempre più agitata, ansimante, scossa da fulmini nel petto.A quel punto il vecchio eretico che stava dentro la ragazza cominciò a far volare i cappelli, a smuovere gli alberi e far tremare le finestre della chiesa.Gli zingari s’impaurirono: qualcuno stava già scappando.Zilia, che nessuno ormai più teneva, con un salto portentoso s’impossessò della carrozza e corse via e corse via, tra sguardi di terrore e la delusione della Madonna nera, che aveva proprio sperato in quell’incontro.Della ragazza non s’era saputo più niente.Dopo qualche tempo Ralis andò a parlare con Guglielmo. E finalmente gli raccontò quel che sapeva degli zingari eretici e delle magie del delta del Danubio. Secondo lui, Zilia stava ancora correndo verso quelle paludi per cercare una siepe di viole; solo se l’avesse infine trovata sarebbe forse ritornata.