FIORVISAGGIO: DISFATTISTA E TRADITORE. MALEDETTA GUERRA!

FIORVISAGGIO: DISFATTISTA E TRADITORE. MALEDETTA GUERRA!

Un carabiniere, due soldati, un prigioniero, soldato anche lui. Da nove ore in cammino, ormai vicini alla destinazione, Marostica. Da lì, altri carabinieri se lo sarebbero portato via, il prigioniero Fiorvisaggio, disfattista e traditore. Per processarlo e condannarlo.Sulla strada era piovuto. All’inizio avevano viaggiato su un carro, poi a piedi, in processione. Anche se, pensava Salvatore, meglio stancarsi così che in trincea sull’altopiano, ‘ché non ce la faceva più delle bombe e delle mitragliatrici. Mentre Vinicio, l’altro soldato, che era una vedetta, avrebbe preferito i suoi cannocchiali e le confidenze degli ufficiali, invece che fare la scorta a un ribelle vigliacco.“Adesso che siamo quasi arrivati, me la date una sigaretta? E’ da stanotte, da quando siamo partiti, che non mi fate fumare” – disse lamentoso Fiorvisaggio, appena il carabiniere aveva ordinato la sosta.Salvatore infilò subito la mano nella giubba per prendere il tabacco, sperando che almeno adesso, alla fine del cammino, il suo superiore l’autorizzasse a offrirlo al prigioniero. E tra gli scarsi e un po’ ridicoli baffi, il carabiniere borbottò una specie di assenso. Ma Salvatore era già scattato con la borsa del tabacco, e le mani di Fiorvisaggio vi pescavano dentro nonostante le manette.Poco distante, Vinicio canticchiava una canzone, forse della sua terra di pianura, mentre il carabiniere aveva cominciato anche lui a fumare. Salvatore invece si guardava intorno, gustando il profumo della campagna bagnata, attentissimo tuttavia a tutto quello che faceva il prigioniero, anzi ammirato per come si comportava. Si voltava dalla sua parte ogni volta che sentiva il rumore dei ferri che avvicinavano la sigaretta alla bocca: tra il fumo grigiastro guardava quegli occhi azzurri e ne riceveva un sorriso, a cui però sfuggiva spaventato.“Ma non v’importa niente di quello che succederà all’89°?” – domandò con una smorfia sprezzante Fiorvisaggio.“Sta’ zitto traditore – rispose pronto il carabiniere – al Reggimento ormai di quelli come te ne sono rimasti pochi, anzi non ce n’è più nessuno, tu eri l’ultimo”.“Li avete ammazzati tutti… – replicò il prigioniero – E tu, maresciallo Cannuolo, quanti ne hai fucilati personalmente? Oppure tu eri quello incaricato del colpo di grazia, servo di Cadorna e di tutti i capitalisti assassini?”.“Finiscila, spia del Kaiser, o la prossima volta ti sparo proprio e non se ne parla più! – minacciò il carabiniere – Pensa che adesso andrai in prigione, poi al processo e poi ti fucileranno per alto tradimento… A quelli come te li devono ammazzare gli italiani, sarebbe troppo onore cadere sotto il piombo nemico”.A quelle parole, Vinicio s’era avvicinato al prigioniero, visibilmente soddisfatto, eccitato, bocca aperta:“Ha ragione il maresciallo – disse ghignando – neanche adesso che ti stiamo portando alla giustizia, stai zitto, carogna anarchista?”.“Cos’è, avete paura? – provocò Fiorvisaggio – Siete in tre, sono incatenato e vi faccio ancora paura? Ho capito, ho capito, ve la fate sotto al pensiero di tornare al Reggimento, di non riuscire più a dormire, di stare sempre all’erta, ‘ché potrebbe succedere che qualcuno vi sbudelli con la baionetta, e sarebbe poi solo un atto di giiustizia”.“Oppure – continuò il prigioniero – sono le mie parole che temete, perché vi entrano in testa e seminano il dubbio… Mai ho visto servi dei padroni così sciocchi e becchi: non siete capaci nemmeno di fare i boia. Che lo stato maggiore non si accorga di voi, ‘ché alla fucilazione ci andreste voi prima di me: a Marostica dirò io ai vostri superiori quanta pavidità avete in corpo, e quanta merda nel fondo delle mutande”.Cannuolo e Vinicio s’erano accucciati sotto un albero ai margini della strada, l’uno accanto all’altro. Facevano finta di niente, ma dalle loro facce imbarazzate traspariva una gran collera, e forse anche un po’ di paura per le minacce dell’anarchico.Salvatore invece era rimasto immobile, a respirare l’erba bagnata che gli ricordava le sue colline, ma soprattutto affascinato da quel bel parlare, da quell’accento straniero. In paese, a Melfi, non aveva mai sentito nessuno parlare così. Solo una volta, in un comizio di piazza, aveva ascoltato quella parlata del nord e parole altrettanto belle. Erano di un anziano avvocato, con i capelli bianchi al vento e una voce da teatro.Non era comunque la prima volta che a Salvatore era capitato di sentire Fiorvisaggio. Si ricordava di una volta che l’avevano sorpreso ad ascoltare i discorsi che faceva con i suoi compagni; e mentre tutti gli altri gli si erano avventati addosso, solo Fiorvisaggio s’era avvicinato cordialmente e gli aveva chiesto se desiderava partecipare alla discussione.Proprio in quell’occasione Salvatore aveva sentito parlare della Comune di Parigi, che non sapeva cosa fosse, ma che comunque dai discorsi della riunione gli appariva come una specie di paradiso, un posto in cui c’era la felicità degli uomini, tante cose da mangiare, tante belle donne, case per tutti e strade illuminate, dove non si lavorava mai e c’era sempre bel tempo.Poi era venuta l’estate, secondo anno di guerra. Quasi tutte le mattine c’era l’attacco, i morti si accatastavano tra la trincea e il nemico, e ormai non si raccoglievano più. Finché arrivò il giorno dell’ammutinamento, quando tutta la seconda compagnia fermò l’attacco e si arrese agli austriaci. Ma prima che riuscisse a rifugiarsi nella trincea nemica venne bombardata e mitragliata dai carabinieri. Il giorno dopo arrivò perfino il generale, insieme ad altri uomini vestiti di nero e con il cilindro in testa. Quasi tutti i compagni di Fiorvisaggio erano stati abbattuti sulla terra di nessuno; gli altri, arrestati e fucilati. Tutto il 90° venne trasferito, insieme a più della metà dell’89°. E con i nuovi soldati che erano arrivati, Salvatore non era più riuscito a fare conoscenza.Il corteo ripartì. Davanti il maresciallo Cannuolo, in mezzo il prigioniero, dietro Vinicio e Salvatore. Pioggerella, rumori di ferro e scarponi nel fango. L’anarchico faticava a tenere il passo, risentiva delle due notti passate al freddo di montagna: in trincea non c’era prigione. Sudava, forse aveva la febbre. Però parlava, si sfogava a sputare veleno sulla guerra.“Che credete? – diceva – Che questa è la vostra guerra? Che i crucchi, gli ungheresi, i croati sono vostri nemici? Siete solo degli idioti illusi, vittime della propaganda del militarismo: questa guerra serve solo ai luridi mercanti di cannoni e alla borghesia reazionaria e assassina. Vi dicono che bisogna completare l’unità d’Italia e loro intanto s’arricchiscono con il vostro sangue”.“Sì, proprio così – aggiungeva – con il vostro sangue le monarchie imperiali e i governi liberali si stanno scannando per avere il predominio sull’Europa, e a questo scopo ignobile usano voi proletari, che invece di ribellarvi vi ammazzate per il trionfo del capitalismo, il vostro vero nemico… Ma dal vostro sacrificio nascerà un nuovo mondo, senza guerre né sfruttamento, senza nazioni, senza bandiere, un mondo di pace e lavoro, un mondo di liberi e uguali”.Le ultime parole le aveva sussurrate: era sfinito, parlava ormai a stento, senza troppa convinzione, tanto per farsi coraggio.Vinicio s’era accorto di quella resa:“Maresciallo – disse sorridendo – facciamo in fretta ad arrivare, sennò il prigioniero ci muore per la strada”.E così dicendo colpì con il fucile la schiena di Fiorvisaggio. L’anarchico cadde con la faccia nel fango, senza neanche lamentarsi.A Salvatore venne da pensare a Gesù Cristo sul Golgota. Gli salì un odio irrefrenabile. Con un urlo piantò il calcio del moschetto sulla faccia di Vinicio. Poi s’avventò sul carabiniere, occhi di fuoco, mani tremanti, colpendolo sulla testa e nello stomaco, ripetutamente, fino a quando lo vide accasciato e senza fiato.Cannuolo guaiva e si muoveva appena, tutto accoccolato, con le mani che ancora difendevano la testa. L’altro soldato, la faccia tutta insanguinata, era rimasto steso e immobile, tremante, con le braccia aperte.Anche Fiorvisaggio se ne restava disteso per terra, con la bocca aperta piena di domande.“Dammi un altro po’ di tabacco” – chiese a Salvatore.Si rialzò tremando e s’avvicinò al soldato, sguardo fisso e incredulo.“A che serve quello che hai fatto? – disse – Adesso dovremo scappare ma ci ripiglieranno. Ora anche tu sarai incriminato, e poi se avevo qualche speranza di non essere fucilato, adesso con quello che hai fatto di sicuro mi condanneranno a morte, diranno che sono stato io a comandarti…”.“No, no, io non c’entro – continuò – resterò qui, incatenato e ferito e forse non mi faranno niente, tu però dei scappare, e anche subito. No, non voglio mischiarmi, io sono un anarchico conosciuto, se non m’hanno fatto niente finora è perché sanno che non possono toccarmi”.“Se non fossi arrivato tu, con le tue bischerate – concluse – mi sarei fatto qualche anno di galera, tanto per allontanarmi dalla guerra, perché tanto prima o poi finirà ‘sto scannatoio, e poi sarei uscito, sarei tornato a Firenze, a casa mia…”.Uno schiaffo inaspettato colpì sul muso Fiorvisaggio. Deluso e furente, Salvatore gli voltò le spalle.Non sapendo cosa fare, cominciava ad allontanarsi per i campi. Ma dopo qualche passo s’era fermato. Aveva buttato il fucile e s’era voltato:“Tu sei più canaglia di loro – disse indicando gli altri due – con tutto questo anarchismo ti riempi solo la bocca, ti fai bello tra i soldati, e invece sei peggio di questi due, perché loro sono ignoranti come me e invece tu sai parlare. Non sei differente dagli ufficiali che ci mandano a morire, anche tu vuoi comandare, sei l’ufficiale degli anarchisti!”.Sputò per terra, s’aggiustò l’elmetto, si sistemò giberna e baionetta e con la voglia di mettersi a piangere riprese a camminare.Andò avanti per qualche passo. Fino a quando un colpo di moschetto l’uccise sul colpo, bucandogli la schiena, fermandogli il cuore.Era stato il maresciallo Cannuolo a sparare: era riuscito a inginocchiarsi e a imbracciare il fucile, sotto gli occhi muti di Fiorvisaggio. Il carabiniere perdeva sangue dal naso e aveva un occhio mezzo chiuso per le botte di Salvatore. Ma anche se a fatica guardò con aria complice il prigioniero. Riuscì addirittura a sorridergli.