IL MARTIRIO DI GIULIO REGENI
Ovvero: come massacrare un occidentale e vivere sereni Noi occidentali non siamo particolarmente sconvolti dai massacri che segnano le vicende del mondo arabo: anche perché si tratta di un’esperienza che coinvolge equamente i protagonisti più svariati. Mentre invece ci colpiscono le offese, mortali e no, subite dai nostri confratelli. Un atteggiamento di cui si può discutere all’infinito; ma di cui occorre prendere atto anche perchè coinvolge, insieme, governi e pubbliche opinioni.Ora, tutto questo rappresenta un deterrente per i vari regimi arabi: così da spingerli a valutare accuratamente le nostre probabili reazioni così da astenersi dal procedere oppure, dopo il fattaccio (che può anche essere un arresto ingiustificato), da offrire riparazioni o spiegazioni accettabili.Cosa hanno fatto, invece, i dirigenti egiziani e i loro servizi di sicurezza?Prima, hanno sorvegliato costantemente il povero Giulio – un innocente, un entusiasta, uno sprovveduto fino a credere alla possibilità di un mondo migliore, insomma il figlio che ognuno di noi avrebbe voluto avere – sino a poter capire chiaramente che il suo comportamento non era assolutamente quello di una spia. Poi però, nel loro orizzonte paranoico o per dare un esempio valido per tutti i ficcanaso del futuro, lo hanno definito tale. Potevano fermarsi a questo punto, allontandolo dal paese, magari dopo consultazioni con il governo italiano. E invece no. E invece lo hanno massacrato per giorni e giorni fino a spezzargli l’osso del collo e a buttarlo, anziché farlo sparire, come uno straccio ai bordi dell’autostrada. E dopo, una serie di dichiarazioni che erano, per noi, una serie di sputi in faccia. Prima la storia delle frequentazioni gay; poi quella dei ladri; poi, presa per i fondelli suprema, l’attribuzione della sua uccisione a “forze che intendevano porre a rischio i rapporti (magari plurisecolari N.d.A) tra i due paesi” (che,in assenza di qualsiasi specificazione potevano essere rappresentate dal suo tutor o magari dalla sua famiglia…). “Servizi deviati, tragico errore”; era la spiegazione più ovvia ma mai presa in considerazione.La scelta di un comportamento così volutamente insultante ha una sola spiegazione: un profondo disprezzo per il nostro paese e per la sua classe dirigente.I dirigenti del Cairo conoscevano i loro polli. Sapevano che per anni e anni, dall’abbattimento dell’aereo Itavia, alla vicenda del Cermis, alle prevaricazioni subite da americani, francesi, tedeschi a ogni livello e di qualsiasi tipo, noi avevamo subito tutto senza reagire; e che la nostra pubblica opinione, specie quella “de sinistra”, a furia di indignarsi a freddo e a comando, aveva perso la capacità di farlo spontaneamente (dopo tutto il nostro Regeni era un cane sciolto, non apparteneva a nessuna categoria protetta e, per di più, era andato in Egitto in base ad un obbiettivo concordato con l’università di Cambridge; quanto bastava a catalogarlo come “agente, magari inconsapevole dell’imperialismo” così dal disinteressarsi di lui…).Le loro previsioni si sono rivelate esatte. Oltre ogni aspettativa. al punto di vedere, ignominia suprema, i nostri politici e i nostri parlamentari bere avidamente la storiella del “complotto contro le relazioni”; al punto di farla propria.Alla fine di questa vergogna la magistratura italiana che indica come assassini e torturatori i vertici della polizia e dei servizi egiziani. E la replica di costoro che a partire dalla richiesta di permesso di soggiorno rivendica la decisione di considerare Regeni una spia e di averlo trattato come meritava.Fango, solo fango, in conclusione. Ma averlo potuto vedere, alla fine di una tragedia invendicata é già una soddosfazione.
