A PROPOSITO DI ATTACCHI DI PANICO

A PROPOSITO DI  ATTACCHI DI PANICO

Soffro di DAP (disturbo da attacchi di panico) da oltre vent’anni. Ecco, l’ho detto. Avevo pensato a un esordio meno banale, ma alla fine ho ritenuto fosse meglio evitare circonlocuzioni raffinate e tanto meno circonvoluzioni mentali (vedi “pippe”) per parlare di questo diffusissimo disturbo d’ansia: gli attacchi di panico, una vera e propria piaga che affligge una persona su cinque. Il rapporto sale se si fa riferimento al solo universo femminile, perché proprio le donne, aihmè, sono le più colpite dal DAP. Prima di incominciare mi sono chiesto: “In che termini ne parlerai?” La risposta è arrivata più o meno subito, tra un formicolio al braccio e una dispnea postprandiale: parla come mangi, come se ti stessi rivolgendo al tuo edicolante di fiducia. Quindi non aspettatevi raffinate citazioni letterarie o elucubrazioni sui massimi sistemi. Non parlerò dell’ansia e del panico in termini prettamente medico-scientifici, lo farò da “malato pluridecorato al valor militare”, perché, che ci crediate o no, la mia (la vostra?) è una battaglia quotidiana senza tregua. L’ansia lavora 24 ore su 24, niente ferie né giorni rossi sul calendario, niente pause pranzo, nessun imprevisto, mai un giorno di malattia, insomma, Stakanov al confronto è il paradigma assoluto del fanigottismo più sfrontato. Molti di voi hanno certamente vissuto almeno una volta nella vita momenti di forte tensione, di ansia insopprimibile, quella che ti chiude lo stomaco e strozza la gola e che ti impedisce di agire, di fare, di esistere in un seppur limitato spazio temporale. Alcuni, ma non così pochi come si vuol credere, hanno anche fatto ricorso ad ansiolitici blandi, a rimedi omeopatici, perché l’ansia esiste da quando esiste l’uomo, e nessuno di noi ne è immune, per fortuna. Perché “Per fortuna”? Sono impazzito? No, assolutamente. L’ansia, quando svolge a dovere il compito che le è stato assegnato – ovvero fare da campanello d’allarme quando la misura è ormai colma -, ci salva la vita. E’ quella vocina dentro che ti dice più o meno così: “Guarda, amico, che qui non andiamo affatto bene, datti una calmata, cambia strada o fermati del tutto altrimenti l’organismo cede e finisci col farti male!”. La musica cambia nel momento in cui cominciamo a “sbarellare” per un motivo che oggettivamente non trova riscontro nella realtà. Allora subentra la patologia, che può sfociare (sicuramente sfocia) nell’attacco di panico.