PER EUGENIO

PER EUGENIO

Una sera abbiamo fatto tardi parlando di Jan Garbarek, più vecchio di lui di una decina d’anni, e di altri suonatori di sax. Il suo strumento era lì, lucido e pronto all’uso, e lui riferiva contento di allegre serate passate a suonare con altri in osterie e ritrovi vari di quella sua città accogliente e ferita ancor oggi dopo tanti anni trascorsi dalla strage del 28 maggio del ’74. Quando gliel’hanno rubato a Torino, dove era andato per un’iniziativa su Mauro Rostagno, ha tirato la cinghia e non si è abbattuto: ne ha comprato uno nuovo.Sono passato da Brescia un po’ di volte in questi ultimi anni e spesso andavo a bussare alla porta del maestro Eugenio. Eugenio Papetti. E ogni volta c’era un braccio di ferro per dove dormire, perché Eugenio irriducibile voleva assolutamente che io dormissi nel suo letto mentre lui si sistemava in un divanetto dell’altra stanza. Niente da fare, la sua ospitalità era profondamente amichevole, nella sua piccola casa fatta di due stanze, molti libri, la radio per sentire le emittenti libere, niente tv (mi pare), la bicicletta giù in basso.Poi risalivano le storie del passato, di Lotta continua in cui entrambi eravamo stati, delle valli che sono a ridosso della città con le loro storie e con chi ci abita ancora come Loriano, e s’intrecciavano col presente, con gli immigrati in lotta per i loro diritti, con i processi interminabili per le povere vittime delle stragi fasciste come quella del ’74 a Piazza della Loggia.Una sera mi ha portato in un’osteria a mangiare l’asina arrosto, cosa che non avevo mai fatto in vita mia ma che a Brescia si usa. E’ andata bene.Un’altra siamo andati in Val Trompia ed Eugenio mi ha assistito a ritrovare in un piccolo cimitero di mezza montagna la tomba di un garibaldino dei Mille, una tomba dimenticata da tutti. Poi siamo saliti da Loriano, un operaio, e lui a sua volta mi ha raccontato poi di come Eugenio lo avesse assistito quand’era ammalato andando a portargli un po’ di spesa e tirando in casa la legna da ardere nella stufa.A Brescia, dalla finestra di camera sua, si vedeva poco tempo fa la gru che era servita a un gruppo di migranti che ci erano saliti su per una loro forte protesta, protesta che Eugenio aveva sostenuto stando in basso ai piedi di quel presidio volante.Eugenio aveva una bellissima faccia, un volto segnato da uno sguardo intelligente e calmo. Non l’ho mai visto insegnare la musica ai ragazzi delle elementari, deve essere stato uno spettacolo.Eugenio lascia due figli, uno è fotografo, ne abbiamo parlato una sera perché anch’io ho due figli di cui uno fotografo.A poca distanza da casa sua ci vive Beppe Montanti, un altro di quelle stagioni, ferito a Piazza della Loggia, presente nelle aule giudiziarie dove si è cercato un barlume di verità su quelle stragi fasciste che hanno segnato il nostro paese seminando la morte come quella delle otto vittime della Piazza della Loggia.Per un po’ era venuto a Roma, aveva un legame nuovo, le sue trasferte finivano in periferia dove oltre alla passione trovava anche gli umori incattiviti di questi ultimi nostri tempi.Grazie al suo acume sono nate le pagine facebook sul processo di Brescia e poi per quello per l’omicidio di Mauro Rostagno: in una fase in cui l’informazione raramente si occupa di vicende del passato che hanno avuto un peso così rilevante nella storia del paese e di così tante persone. Grazie a quelle pagine si è saputo cosa succedeva in aula, migliaia di lettori hanno potuto seguire, la memoria se ne è arricchita, le persone ferite sono state meno sole.Questo era Eugenio Papetti, da giovane militante di Lotta Continua, poi maestro elementare, un democratico per la sua città e su tanti altri fronti, un musicista, un amico, un antifascista, una persona generosa e solidale.