AMAZON. METROPOLIS E’ QUI
Dal film di Fritz Lang alla nuova realtà lavorativa. Una recente inchiesta ha svelato che il futuro tanto temuto forse è già arrivato. Metropolis. Una pellicola del 1926 che in molti ancora ricordano, in cui si immagina il mondo del 2027, una realtà in cui la classe lavoratrice, soggiogata dal potere economico di chi comanda, si trova in condizioni disumane e dove gli operai, anche se stremati, non possono commettere il minimo errore o prendersi una pausa. Sembrava impossibile che, nella società civile e progressista che stava nascendo, tutto si potesse trasformare in un tale incubo, così come quando si pensava che il Grande Fratello orwelliano fosse solo una allucinata visione di uno scrittore di fantascienza. Ed invece, a parte realtà che sono notoriamente considerate crudeli, in cui i bambini sono costretti a lavorare, e dove non esistono sindacati, anche nella cosiddetta civiltà industriale occidentale il mondo del lavoro sta cambiando. Una recente inchiesta condotta in Italia, destinata a lasciare il segno, ha raccontato come vive il proprio tempo lavorativo un dipendente di Amazon. In realtà l’azienda americana è al centro di un vero proprio caso legato allo sfruttamento dei dipendenti, su entrambe le sponde dell’oceano, almeno un paio di anni. Già nel 2016 negli U.S.A. si scatenò un putiferio a causa del brevetto di un braccialetto elettronico di controllo, sul modello di quelli per detenuti, registrato da Amazon. Secondo le accuse si trattava di un braccialetto per controllare i lavoratori, mentre l’azienda, limitandosi ad un no comment, ha lasciato intendere che si trattava solamente di un brevetto commerciale. Inoltre, nella concessione del brevetto stesso è spiegato che servirebbe ai dipendenti unicamente per il rintracciamento della merce sugli scaffali, una sorta di ausilio tecnologico, che ovviamente terrebbe comunque traccia degli spostamenti del personale, geolocalizzando con la scusa di ricercare la merce. In Italia poi, alcuni dipendenti hanno difeso l’idea, dichiarandosi favorevoli ad un congegno in grado di rintracciare i fannulloni. Quindi l’uomo più ricco del pianeta, quel Jeff Bezos partito da uno scantinato, ha in qualche modo spalancato le porte di un futuro preoccupante, per tutti i lavoratori. E per verificare le condizioni dell’ambiente di lavoro nei depositi Amazon della Gran Bretagna, un giornalista del The Sun ha lavorato in incognito per 6 mesi, riportando un sistema fatto di punteggi basati su dati come ritardi, la malattia a casa, pause. Punteggi in negativo che portano al licenziamento, costringendo i dipendenti a turni massacranti e sotto pressione pur di non subire richiami negativi. Anche andare in bagno è limitato, per non sprecare i minuti a disposizione, tanto che molti dipendenti urinano nelle bottiglie per non allontanarsi dalla postazione. Esattamente come nel film Metropolis, appunto. Ed in Italia, a quanto pare, la situazione non è diversa. Iniziarono a lamentarsi, inizialmente, alcuni dipendenti della sede di Piacenza, proprio relativamente alla pressione esercitata su di loro, e poi un giornalista ha voluto ripetere l’esperimento britannico, facendosi assumere nella stessa sede, come interinale. Ed anche lui ha parlato di controllo delle prestazioni, di briefing motivazionali, di paura di assentarsi anche per cause giuste come la malattia. Testimonianza fornita anche da una dirigente della Fisascat-Cisl, la quale ha riferito di dipendenti con problemi fisici parcheggiati, invece di essere utilizzati per altre mansioni. L’inchiesta italiana ha ovviamente scatenato polemiche, e le critiche sono arrivate proprio dai lavoratori, che hanno accusato il giornalista di non conoscere le realtà lavorative in assoluto, e che sotto pressione ci si trova in ogni fabbrica ed ogni luogo di lavoro. Effettivamente fattori come produttività e prestazioni ormai sono elementi che ogni azienda considera, e non si può negare che anche in un ristorante si lavori sotto pressione, così come in molti uffici. Il fatto inquietante però è la negazione dei diritti conquistati nel tempo. Il diritto alla malattia, se vera, non può essere visto come un pericolo per lo stipendio, così come la pausa, o il potersi sedere. In Giappone hanno già introdotto premi per i dipendenti che non fruiscono della possibilità di fumare, dando punteggi di merito a chi non si assenta, sempre in una ottica di ottimizzazione del lavoro, ed il fatto che l’astensione dalla pausa sia volontaria, non è meno preoccupante, poiché si premia chi si sacrifica, l’esaltazione dello stakanovismo. Decisamente contro tendenza rispetto ad una Virgin, il cui presidente, Richard Branson, ha invece abolito il cartellino da timbrare, convinto che non sia la quantità ma la qualità del lavoro svolto a migliorare una azienda. Attualmente Amazon non ha rilasciato dichiarazioni, probabilmente in attesa di sondare le reazioni sia del mondo politico che degli utenti della rete. E forse è proprio sul gradimento di una clientela virtuale che si gioca una partita che avrà effetti anche nel mondo reale. La mancanza di imposizioni scritte non implica necessariamente il mantenimento dei diritti acquisiti, perchè qualcuno sarà sempre disposto a concedere qualcosa in più, pur di non perdere il minimo che gli serve per vivere. Ma come nel film di Fritz Lang, ad un certo punto ci si accorgerà della differenza che passa tra vivere e sopravvivere.
