SUCCEDE IN RETE. NON E’ KABUL MA IL VIDEO DI UN RAGAZZINO ITALIANO

SUCCEDE IN RETE. NON E’ KABUL MA IL VIDEO DI UN RAGAZZINO ITALIANO

Non e’ Kabul, Afghanistan, non e’ Damasco, Siria, non e’ Bagdad, Iraq.Non vi sono bombe, macerie, detriti ad accompagnare il canto, a fare da scenografia al gesto. E’ Italia, Napoli. Ma potrebbe essere Milano, Roma, Reggio Calabria. Un video che sta spopolando in rete e immortala nell’ innocenza di un bimbo, una guerra, guerra che noi adulti abbiamo gia’ perso. Un adolescente che canta una canzone ad un detenuto, che impugna una pistola fra le mani, che invia cosi’ il suo messaggio di auguri e che sublima il canto con lo sparo finale. Tutti da ragazzi hanno giocato con le armi di plastica nel classico duello delle guardie e dei ladri, nella dicotomia di vita tra buoni e cattivi. Tutti hanno finto di sparare, di arrestare, di combattere, di vincere o arrendersi. Ogni epoca fa si’ che i ragazzini, gli adolescenti, i giovani, cerchino i loro eroi, li emulino dotati di quel bagaglio che famiglia e scuola donano loro affinche’ siano in grado di discernere il bene e il male. Il video, che la community di fb ha tollerato ipocritamente, ignara della forza emulativa dello stesso e del messaggio subliminale ivi contenuto, ha sollevato plausi e, ancor di piu’, critiche e interrogativi. Un canto nostalgico per la liberta’ perduta, una pistola nelle mani, un tono rispettoso da scugnizzo e un bacio finale. Chi conosce il linguaggio e il significato di certi gesti e le dinamiche di certi ambienti non puo’ non restarne sconcertato. Non e’ il canto di un bimbo pur possedendone la voce; non e’ il gioco di un bimbo pur avendone il vestito; non e’ il gesto di un bimbo pur avendone l’innocenza. E lo sparo verso il cielo rimbomba tutto dentro le nostre coscienze. Di chi,preposto a tutelare l’infanzia, la svilisce, la ruba,la nega, la violenta. Cartoni animati, film, giochi, canzoni rap o melodiche in cui la violenza e’ l’ingrediente principale, sono il nutrimento delle giovani menti. Facile poi indignarsi dinanzi alla concretizzazione del fallimento educativo di una nazione.Quello per cui il vivere o il morire sono solo un gioco da riprendere con un video, come un selfie a immortalare l’infelicita’.