L’ITALIA DEI DELITTI. MORTA LA CIRCE DELLA VERSILIA

Si è spenta ad 80 anni una donna di cui pochi, oggi, ricordano il nome, ed il ruolo nella storia italiana. Si chiamava Maria Luigia Redoli ma sui giornali, in una Italia che stava uscendo dagli anni 80, la chiamarono la Circe della Versilia. Era il 17 luglio 1989. Una donna tornò a casa dopo una serata in discoteca, assieme ai suoi figli ed al suo amante. All’interno della loro villa, a Forte dei Marmi, trovarono Luciano Iacopi, di 69 anni. L’uomo, marito di quella bella signora bionda, giaceva a terra nel garage, in un lago di sangue. Vennero chiamati i carabinieri, e la vista del corpo sottratta ai due figli della coppia, Diego di 14 anni e Tamara di 18. Le indagini puntarono subito contro la donna. Troppo appariscente, troppo disinibita, addirittura portava i figli a ballare assieme al suo amante. E poi, i 7 miliardi di lire di patrimonio erano una occasione ghiotta, almeno secondo la stampa, che si gettò sul caso cercando di scovare scheletri anche dove gli armadi erano aperti. L’unico indizio, l’unica prova, secondo l’accusa, di colpevolezza della donna, sarebbe stata una porta chiusa a chiave, con quattro mandate. La porta interna che separava il garage dalla casa. E l’uomo le chiavi non le aveva addosso. La ricostruzione della dinamica dei fatti, che probabilmente risentì più dell’accusa mediatica che non di vere indagini, fu tanto semplice quanto illogica. Secondo i p.m. infatti, la vittima, dopo essere stata attirata all’interno del luogo del delitto, venne colpita con circa 17 fendenti dalla donna e dall’amante, all’epoca 24enne, dopodichè i due, sempre secondo l’accusa, sarebbero tornati nel bagno della donna per pulirsi, per poi andare in discoteca assieme ai figli di lei. La porta chiusa per errore. Sempre secondo i procuratori ovviamente. Perché di prove certe non ve ne furono. Venne anche cronometrato il tempo necessario per recarsi dalla villetta fino alla discoteca, secondo l’ipotetica ora della morte, per verificare se potessero esserci degli errori nei riscontri, ma i risultati non aiutarono i due accusati, in quanto l’autovettura della Procura, dello stesso modello della donna, percorse il tratto indicato addirittura con minor tempo di quello necessario ai due per uccidere l’uomo ed andare in discoteca. Peccato che la prova si svolse in novembre, mentre l’omicidio era avvenuto in estate, in piena stagione turistica, quando per percorrere un kilometro sulla litoranea si impiega un’ora. Ma i media avevano già deciso che era stata lei, ed anche le inchieste televisive non mancarono di insistere sugli aspetti più scabrosi, e le domande alla donna vertevano sempre sugli stessi argomenti, sul suo rapporto intimo con il marito. Entrambi gli accusati si proclamarono innocenti, ma nonostante l’assoluzione in primo grado, il processo di Appello ribaltò la situazione, e poi, nel 1991 la Cassazione confermò la condanna. Ergastolo. Nel 1991 si procedette all’arresto dei due, che si concluse con una colluttazione tra l’amante ed un carabiniere, finchè il giovane non riuscì a buttarsi dalla finestra, nella speranza di fuggire. Purtroppo il gesto ebbe conseguenze gravi, anche se il ragazzo sopravvisse. Così quella donna di 50 anni, che frequentava un ragazzo così giovane senza nascondersi al marito, alla gente, finì in prigione, nonostante la richiesta di grazia a Giorgio Napolitano, quando questi era Presidente della Repubblica. Richiesta di grazia a cui si opposero i figli, in particolare Tamara. E fu proprio Tamara ad essere accusata dalla madre, in merito ad una telefonata intercettata dai carabinieri, ed attribuita alla Redoli, relativa ad una conversazione con un mago viareggino circa un killer da assoldare. Secondo Maria Luigia era stata la figlia a chiamare quel mago, allettata dai soldi del padre, ma l’accusa invece decise che era stata lei a telefonare. Ed i figli, prendendo a spunto quella accusa, chiesero che non le venisse concessa la grazia, perché secondo loro si trattava di una donna malvagia. A contribuire alla fama negativa della donna anche il fatto di aver convinto l’amante di aspettare un figlio da lui, mentre lei era già in menopausa, ed inoltre il fatto che entrambi i figli, pur riconosciuti dalla vittima, erano frutto di un’altra relazione. E Tamara lo sapeva. Nel 2015 Maria Luigia uscì dal carcere, e pochi giorni fa, dopo soli 3 anni di libertà, è spirata. 80 anni, di cui 30 passati dietro le sbarre, ed un malattia ai reni. Poche righe appena, per una donna la cui vicenda riempì di inchiostro i giornali. E la verità, al solito, è nascosta nelle pieghe di qualche anima.