PASSAGGI DEL NOVECENTO. 4. MONACO
Monaco è da sempre un nome simbolo. Ieri dei miasmi cultural-ideologici che la portarono ad essere culla del nazismo. Oggi della sintesi felice tra tradizione e modernità all’insegna del liberalismo più avanzato. Ma soprattutto, dal 1938 in poi, della resa delle democrazie occidentali a Hitler, con quegli accordi che, cedendo a tutte le sue richieste, gli avrebbero consegnato, allora i Sudeti e, di lì a poco, Praga.Da allora in poi e sino ai nostri giorni in un universo internazionale sempre più interpretato nello schema Bene contro Male, qualsiasi accordo, che dico qualsiasi ipotesi di negoziato tra l’Occidente e l’Altro, sarebbe stato accompagnato da un vero e proprio fuoco di sbarramento: non si tratta con il Nemico, non si tratta con Hitler. Intendendo per tale, l’Urss e poi la Russia, la Cina, l’Egitto di Nasser, l’Iraq di Saddam Hussein, l’Iran degli Ayatollah, la Corea del Nord e via discorrendo. E non si tratta perché queste potenze non sono solo, per definizione, malvagie – nel loro regime interno e quindi nella loro dimensione internazionale – ma anche folli e cioè prive di qualsiasi dimensione razionale nel loro agire.Tutto ciò ci riporta, di riflesso, a quello che è, o dovrebbe essere, la premessa di ogni negoziato: tu stai negoziando con il tuo avversario, anzi con il tuo nemico; e allora devi avere ben chiaro, sin dall’inizio, che cosa è negoziabile e cosa non lo è: a partire dalle tue aspettative e da quelle dell’altro.Ora, sulla base di questi parametri, Monaco non fu un negoziato. Ma, tutt’al più, la formalizzazione di una resa.Chamberlain e Daladier (e il primo assai più del secondo: tornerà a Londra, accolto da una folla in delirio, agitando un foglietto di carta scribacchiato da Hitler con vaghe promesse di pace e gridando “è pace per il nostro tempo”; mentre Daladier definirà tra sé e sé “imbecilli” quelli che si apprestano ad acclamarlo) sono disposti ad accettare tutte le condizioni di Hitler perché non vogliono assolutamente la guerra: il loro riarmo è appena iniziato, l’opinione pubblica – in questa fase di sinistra come di destra – è massicciamente pacifista e, infine e soprattutto perchè per fare la guerra c’è bisogno del concorso dell’Unione Sovietica. Un’ipotesi che i dirigenti occidentali e, soprattutto, i conservatori inglesi rifiutano con orrore: per varie ragioni ma soprattutto perché preferiscono di gran lunga Hitler a Stalin. Il primo sarà anche un dittatore e il suo regime è, diciamo così, sgradevole; ma dopo tutto le sue richieste sono ragionevoli; mentre il secondo utilizzerebbe un eventuale conflitto, per diffondere con la forza la peste del comunismo in tutta Europa. Se poi il primo dovesse, nel prosieguo del tempo, entrare in conflitto con il secondo, tanto meglio per gli altri (non dimentichiamoci, a questo riguardo, che quando la Russia, nell’inverno ‘39/’40, attaccò la Finlandia, gli strateghi occidentali progettarono attivamente di venire militarmente in soccorso di quest’ultima).Diciamo che né Londra né Parigi, sanno chi hanno di fronte. Non capiscono o non vogliono capire che Hitler vuole i Sudeti ma vuole soprattutto la guerra e al più presto possibile: perché vuole prevenire quel riarmo occidentale che, correttamente, teme più di ogni altra cosa (perché capisce, come capirà qualche tempo dopo De Gaulle che una “guerra di materiali” lo vedrebbe sconfitto); e, soprattutto, una guerra su di un fronte solo.Ma neanche Hitler capisce chi ha di fronte. Perché, come il suo compare di Roma, è convinto della superiorità intrinseca dei popoli giovani e totalitariamente forgiati sulle democrazie decadenti. E perché errore fatale, è convinto che i suoi interlocutori di Monaco non siano altro che dei “piccoli vermi” disposti, come avevano fatto dal 1933 in poi, ad accettare senza reagire i l fatto compiuto.Erano, ambedue, in grado di capire? Quasi sicuramente sì. I franco-inglesi erano a conoscenza dell’opposizione, interna alle forze armate tedesche, a un conflitto che esse reputavano disastroso per la Germania; e poi avrebbero potuto leggere i piani di Hitler in Mein Kampf.Ma anche il Fuehrer, grande ammiratore dell’Inghilterra, avrebbe dovuto sapere che Londra tutto avrebbe potuto tollerare, meno un’Europa dominata da una sola potenza; evitando così quel “colpo di Praga” che, nello spazio di un giorno, avrebbe portato classi dirigenti e paese nel campo della guerra.E dunque, conoscere e capire chi si ha di fronte dovrebbe essere il vademecum di qualsiasi negoziatore.Per chiudere qualche piccolo esercizio pratico.Saddam Hussein è cattivo, anzi cattivissimo. Ma possiamo ragionevolmente ritenere che disponga di armi chimiche e batteriologiche; e soprattutto che si appresti a usarle?Putin è quello che è. Ma possiamo ragionevolmente ritenere che si appresti a rovesciare i gruppi dirigenti occidentali con le fake news in attesa di aggredirli? E, se non lo riteniamo, quali sono i suoi obbiettivi? E in che misura vogliamo o possiamo prenderli in considerazione?Il regime degli ayatollah è deplorevole (ma gli altri regimi della zona, te li raccomando NdR). Ma siamo ragionevolmente convinti che voglia l’atomica per distruggere Israele, salvo a essere cancellato dalla terra un nanosecondo dopo?E, infine, il coreano del nord è brutto e cattivo ma soprattutto pazzo? Insomma ci tiene ad avere la bomba per colpire Giappone e Stati Uniti e non per negoziare la propria sopravvivenza e i sostegni economici per la medesima?Monaco fu certo una tragedia. Prima il disonore; poi la guerra, come disse Churchill, ancora profeta inascoltato. Ma fu anche la tragedia dell’incomprensione; anzi di una voluta cecità. A ottant’anni di distanza il messaggio è di non ripeterla.
