KHIVA NON E’ UNA CITTA’, E’ UNA SORPRESA

KHIVA NON E’ UNA CITTA’, E’ UNA SORPRESA

Khiva non è una città, è una sorpresa. È inutile paragonarla a Samarkanda o a Bukhara. Khiva è un’altra cosa. Appartiene sicuramente alle favole, infilata comeè nel principio attanagliante di un racconto per bambini: “Nel più lontano posto del mondo viveva un principe terribile e cattivo. Tutti avevano paura di lui. E la città su cui regnava, Khiva, era chiusa in alte mura e protetta da altissime torri….”. Ma appartiene anche al sogno e dunque un poco anche all’impossibile, accucciata come è in un angolo verdissimo e acquoso di pieno deserto. Un impossibile che la protesse per secoli e che fu anche la base della sua fortuna terribile: era la città degli schiavi. Chiunque si trovasse a passare entro il raggio d’azione dei suoi predoni correva il rischio di essere catturato e portato qui come merce umana. Più che sogno incubo dunque, ma c’è da chiedersi allora come possa esserne nata tanta bellezza. Perché qui il bello è assoluto, di quel genere che ti.lascia senza parole, lì a contemplarlo. O forse anche la bellezza per Khiva era un’arma, una trappola, come quelle piante carnivore che attirano irresistibilmente ma sono fatali.Oggi sto qui e domani riparto per Nukus. Poi sarà viaggio di deserto verso il Kazachistan e il Caspio