VIAGGIO NELLA BUROCRAZIA ASIATICA

Stanco morto, mi sono faticosamente liberato dalle pastoie della burocrazia confinista. Almeno spero, perché non è mai detto che da qualche parte, un giorno, nella mia vita, non mi si presenti l’ennesimo poliziotto russo, kazako, uzbeko o azero per chiedermi di mostrargli un foglietto, un timbro, un pezzo di carta che dimostri che prima di lui un kontrollore abbia kontrollato quel che ha fatto un kontrollore precedente e successivo a un altro. Ora sono in Azerbaijan e sono le 8,28 del mattino, ma mi importa poco. Penso solo che devo recuperare il sonno, o meglio l’equilibrio del tempo. L’uscita dal Kazakistan e l’arrivo qui sono stati devastanti. Si pensi soltanto che la pittoresca bagnarola “Professor Gul” (devo indagare chi sia…) è arrivata al porto di Alat la mattina verso le 7 ma i passeggeri ne sono potuti scendere solo verso le 22,30. Poi è incominciato il gioco di sponda dei kontrollori e i viaggiatori erano come un giocattolo nelle loro mani. Devo dire che in tutto il viaggio non ho mai incontrato un solo poliziotto o funzionario corrotto, al contrario di chi raccomandava di avere in tasca sempre pronto un biglietto da venti euro. Ma era palpabile la tua fragilità, la tua oserei dire minorità. Loro potevano, tu no, tu non avevi diritti ma solo il dovere di sorridere e dire yes thank you. Le pratiche di sbarco sono durate fino alle 2 di notte. Impossibile a quell’ora pensare di raggiungere un hotel a Baku. Allora, vista la bella nottata, mi sono sistemato col sacco a pelo in un angolo del porto dove c’era un prato. Mezz’ora dopo ero circondato da soldati in tuta mimetica. Uno per giustificare il mio sgombero ha detto che era pericoloso stare lì perché c’erano i serpenti. Risultato: alle 3 mi facevano entrare in un capannone/sala d’aspetto dove per riposare almeno un poco dovevo tirar fuori 20 dollari. Ok, vada per i venti, ma poi potrò stare in pace? Certo, ma per trasparenza e onestà i 20 non potevo darli a loro. Allora a chi? At the bank. The bank? At this time? Insomma sì, alle 3 di notte nel nuovo modernissimo porto di Alat ho bussato allo sportellino 30×40 di un bugigattolo di legno. Era la banca. Ho versato i 20 dollari ma, ovviamente, quello ha voluto vedere il passaporto. Ok, a posto. Ma poi avrei dovuto passare il kontrol. Kontrol di che? Kontrol di polizia per registrare che io ho pagato 20 dollari in banca. E vai a bussare a un altro sportellino alle 3,30 di notte ormai, al punto che temevo che uno di quegli impiegati in scatola mi avrebbe mandato al diavolo. Macché, qui Kafka è una cosa viva, presente, linfa nazionale. E timbrano e ritimbrano fino a darmi un foglietto con sopra scritto 110 dollari. Centodieci che? Tax for port. Tassa del porto. Non riferisco la sfilza di imprecazioni ma c’era poco da fare, altrimenti rischiavo di restare lì dentro a vita. Ho pagato. A chi? Al cassiere di un terzo bugigattolo che mi ha rilasciato una ricevuta che ho dovuto portare al primo.Sono andato a dormire, sic!, a un’ora infame. Unica consolazione l’incontro con un motociclista turco che alla sua Africa Twin ha messo un sedile di pelle di pecora e con una bella turkmena sui 45, molto cordiale e con voce di velluto. Un giorno riuscirò ben ad andarci in Turkmenistan, perbacco. Poi un’oretta di oblio sdraiato malamente su alcune sedie. Mi ha svegliato altrettanto malamente alle 5,30 una donna delle pulizie. Via, via, devo pulire! Ok, via. Macché, c’era un’ultima sbarra e l’ennesimo agente mi ha fatto: passport and passport of the bike (il libretto). Gasp! Poi ha aggiunto: and the ticket? Che biglietto? The ticket of the boat. Cioè l’ultimo in Azerbaijan voleva vedere se avessi pagato il biglietto della nave al primo in Kazakistan. Vi risparmio. Sono sulla strada, sotto dei platani, e mi sono bevuto cinque tè. Strada per dove? Per la Georgia ragazzi, salto anche Baku. Prima che qualcuno non mi chieda ancora un kontrol. Ps. Da queste parti non buttate mai alcun pezzo di carta, anzi per sicurezza fotografate tutto con il cellulare.Portatevi qualche centinaio di dollari. Non euro, ma dollari. Capiscono solo la lingua di Paperon dei Paperoni.