OSSERVATORIO SETTIMANALE SUGLI EVENTI DEL MONDO

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FATTI, RAGIONI, CONSEGUENZE, MORALI DELLA FAVOLA IL COMPLOTTO DI BIARRITZSalvini continua a parlare di complotti e di sussurri: e poi con la Merkel… Tutto invece è avvenuto alla luce del sole; secondo un processo politico chiaro e facilmente comprensibile. E che si è rivelato compiutamente proprio a Biarritz.Alle origini l’inguaribile “provincialismo nazionale” di Salvini. Che lo porta a sottovalutare totalmente, e a danno del nostro paese, i rapporti con l’Europa. Assenza alle riunioni e alle trattative. Inutili parate sovraniste, con sodali di altri paesi del tutto ostili ai nostri interessi nazionali. Posture verbali e nient’altro. Traffici con i russi, manna del cielo per quanti intendessero scambiare per affinità ideologica la tradizionale politica italiana di dialogo con Mosca. E, infine, peccato capitale, il mancato voto per la von der Leyen.Ciò aprirà uno spazio enorme alle convergenze prima separate, poi parallele e, infine, esplicite tra il Pd e Conte. Burattino, o comunque considerato come tale all’interno. Protagonista nella costruzione di nuovi rapporti internazionali.A livello istituzionale sarà il dialogo con le istituzioni europee che si tradurrà, con la costituzione del nuovo governo, in un rapporto in cui si allenteranno i vincoli e l’Italia non sarà più sul banco degli imputatiSul piano dei rapporti tra stati sarà la scelta della Francia di Macron, e non più della Germania della Merkel, come interlocutore privilegiato.E qui veniamo a Biarritz e dintorni. Qui Conte annuncia “coram populo” la separazione definitiva da Salvini. Ma qui Macron dispiega pienamente la sua anima gollista (il Nostro tiene a far sapere a tutti che le memorie del generale sono il libro che tiene sul suo comodino…): indipendenza politica dell’Europa, “tenere dentro” la Russia, dialogare con l’Iran e via discorrendo; mentre i francesi (la cui economia cresce adesso più di quella tedesca) stanno riaprendo su tutti i fronti un confronto con Berlino, ivi compresa la contestazione della politica di austerità. Un contesto politico nuovo in cui l’appoggio dell’Italia avrà una certa importanza.Eccolo, dunque, il complotto. DEMOCRATICI AMERICANI: COME SCONFIGGERE TRUMPUn interrogativo tutt’altro che sciolto. E che ha pesato non poco sull’incertezza e anche sull’asprezza dell’ultimo dibattito tra i “candidati alla candidatura” del partito democratico.C’è chi pensa che, per vincere, basta dimostrare di essere diversi anzi contrari a Trump e al disegno, per certi aspetti propriamente eversivo, che the Donald incarna. E Biden, in questa prospettiva, è il candidato ideale. Gentile, aperto, disponibile, compagnone, dialogante. E, per il resto, la quintessenza della ragionevolezza minimalista propria dell’eredità clintoniana. Il tutto nella convinzione che la partita elettorale si vince al centro.Nel contempo però e il partito e il suo elettorato si erano spostati a sinistra. Il primo attraverso la voce degli altri concorrenti di peso alla candidatura – Sanders, la Warren, la Harris – tutti fautori del “pubblico” e di una forte crescita del ruolo dello stato e tutti fortemente critici del moderatismo di Biden. Il secondo che mostra, sondaggio dopo sondaggio, una visione positiva del “socialismo” e con percentuali che, per i “sotto cinquant’anni” superano il 40%. Di qui la convinzione che la partita elettorale si vinca a sinistra: mobilitando tutta la propria gente, in alternativa non solo alla persona di Trump ma alle politiche della sua amministrazione.Due scenari opposti. E ambedue segnati dall’incertezza. Il primo ha il difetto insanabile di essere poco mobilitante. Sul secondo pesa oggi l’essere rappresentato da più candidati, l’ostilità feroce dell’establishment, anche democratico e soprattutto il bilancio economico (crescita ininterrotta dell’economia e dell’occupazione) dell’Amministrazione.Oggi, per la verità, si moltiplicano i segnali di crisi; mentre nessuna delle avventure internazionali di Trump è giunta a buon fine. Insomma molte tempeste sono in arrivo: ma quando? E di quale intensità? Non ci resta che aspettare… ELEZIONI ISRAELIANEAscesa e caduta di un democratico illiberale Comunque vadano le cose, un dato è certo: Netanyahu non sarà più “re d’Israele”.E non per i meriti dei suoi avversari. Ma per colpa sua. Il Nostro è, in forma esasperata, un “democratico illiberale”: c’è l’appello al popolo nella veste di unico garante della sua salvezza; l’individuazione, se non l’invenzione, del Nemico, con annesso odio implacabile nei suoi confronti; e, infine, un personalismo esasperato combinato con il rifiuto delle regole più elementari della convivenza civile e dello stato di diritto.Il tutto, peraltro, in un sistema politico caratterizzato dal multipartitismo e dal proporzionale puro.Per anni questo problema è stato risolto secondo una narrazione classica. Il Nemico come minaccia mortale assieme ai suoi complici interni; e la centralità della problema della sicurezza. E, come corollario, la classica contrapposizione tra popolo ed élites. Una logica che lo ha portato fatalmente ad aprire sempre più la sua alleanza verso destra; e soprattutto verso i religiosi diventati, nel frattempo, sempre più estremisti, con venature razziste e con la pretesa, in combutta con gli evangelici americani, di fare di Israele uno stato clericale e, ebbene sì, razzista.A saldare il tutto e per lunghi anni il “bau bau” del nemico esterno e poi anche interno. Ma ora non più: impossibile raccontare di Annibale alle porte quando tutto, ma proprio tutto (a partire dal fatto che il principale avversario di Netanyau e del Likud è un partito creati dai massimi esponenti dei servizi di sicurezza) dimostra il contrario.E, allora, forse per la prima volta nella storia del paese, la partita si è giocata sulla definizione della natura stessa dello stato d’Israele; Netanyahu e gli altri. E hanno vinto gli altri.Seguirà, penso, un lungo interregno e dai contorni incerti. Ma, in ogni caso, è stato evitato il peggio.