BREXIT, ULTIMATUM A JOHNSON. LA UE VUOLE GARANZIE

BREXIT, ULTIMATUM A JOHNSON. LA UE VUOLE GARANZIE

Il populismo continua imperterrito a mostrare il suo lato peggiore. E’ così anche per il Regno Unito, che attraverso il suo premier  conservatore, Boris Johnson, mostra i muscoli ad una sempre più paziente Unione Europea. Già prima dell’incontro con Jean-Claude Juncker, l’ostinato premier Britannico aveva paragonato il suo paese ad un supereroe: “Più Hulk s’arrabbia, più diventa forte e ne esce sempre, non importa quanto sembri legato stretto, ed è il caso di questo Paese”.La paura che evidentemente ha suscitato nei suoi interlocutori è stata tale che, per voce del premier Finlandese Antti Rinne, presidente di turno della stessa Unione Europea, gli è stato comunicato un vero e proprio ultimatum: 12 giorni per presentare una proposta scritta sui termini del “divorzio” tra Regno Unito e Unione Europea. Ciò significa che il Regno Unito uscirà dalla UE senza alcun tipo di accordo, NO DEAL. Sembra quasi che il successore della May non stia neppure a sentire quel che gli viene detto. Tra arroganza e uno strano fare da sornione, continua a sostenere che la data dove tutto verrà deciso sarà il Consiglio Europeo del 17/18 ottobre. In questa UE dove le forze si affidano più a individualità che al collettivo, è ancora una volta il presidente francese Emmanuel Macron a decidere con Rinne, le modalità da presentare “senza se e senza ma” al coriaceo leader Britannico.Il peso politico-economico di Macron è tale da poter zittire un ministro tanto impulsivo quanto fragile come Johnson. La Brexit non è l’opzione vincente neppure nel Regno Unito; si stanno provando forzature a suon di richieste che mettono l’uno contro l’altro armati sia il parlamento che i poteri del governo rappresentato dallo stesso ministro Tory. Viene tirata in ballo persino la Regina con la richiesta di sospensione dello stesso parlamento ed a pronunciarsi dovrebbe essere la Corte Suprema Britannica (che invece si vuole tirar fuori da tutto questo teatrino). In pratica si sta delineando una diaspora tutta interna al Regno Unito, dove il punto cruciale sembra essere il famoso BACKSTOP, ovvero, la situazione del confine tra Irlanda del Nord e Regno Unito nell’ipotesi di un’uscita dalla UE. L’Unione Europea è ferma e irremovibile sulla condizione per la quale, se il Regno Unito esce dalla UE non devono esserci alcun tipo di confini fisici con l’Irlanda del Nord. Questa è la conditio sine qua non, il punto chiave, sul quale la UE è decisa (giustamente) a non cedere di una virgola; e nel caso di una uscita “forzata”, pretende garanzie per L’Irlanda, nel senso che non saranno nuovi confini fisici, nuove divisioni con tanto di controlli, posti di blocco, e tutto ciò che ne conseguirebbe, riportando Regno Unito e Irlanda ai tragici eventi degli scontri tra fazioni. Il rischio di un ritorno al passato è alto. Con l’aggravante che oggi non ci sono più gli attori di quel tempo. Gli stessi che hanno portato ad una convivenza tra due fazioni che da anni, per non dire secoli, erano in lotta perenne.“Il Regno Unito non ha messo sul tavolo fino ad ora alcuna proposta concreta, eppure continua a mettere paletti”, chiosa Tytti Tuppurainen, ministro degli Affari europei nel dibattito al Parlamento europeo sulle trattative con il Regno Unito. Le fa da contraltare il francese Michel Barnier, capo negoziatore UE, che realisticamente afferma come “A tre anni dal referendum siamo al momento della verità” e “La situazione è grave”, aggiungendo che le “conseguenze sono maggiori di quello che si dica”.E’ dunque un ultimatum più che giustificato in una situazione complessa dove, chi molla, rischia di far saltare il banco; una situazione che solo una reazione del popolo Britannico potrebbe portare a più miti consigli, soprattutto visti gli attori in campo, non certo degni delle sfide che chiedono un salto di qualità nella vita degli stessi cittadini. Europei, o sudditi della Regina che siano.