BEN ALI, L’UTIMO SCIPIONE

Ben Aliha lasciato scritto di voler essere seppellito fuori dalla patria che lo aveva scacciato, come Scipione l’africano. Destino triste per uno degli uomini che ha rappresentato per laTunisia, ma anche per il Mediterraneo, un punto fermo per più di vent’anni, una stabilità che egli avrebbe voluto perenne non calcolando però a sufficienza che la “transizione democratica” cui fece riferimento alla sua ascesa al potere dopo aver sostituito con un colpo di mano il vecchio “Combattente supremo” Habib Bourguiba, prima o poi si sarebbe presentata all’appuntamento con la storia e che lui innanzitutto ne avrebbe fatto le spese. Ben Ali al netto di tutte le ricostruzioni non assomigliava a nessuno dei satrapi africani, guidava certamente con il pugno fermo una nazione piccola, strategica geograficamente ma non sufficientemente robusta per poter esercitare un qualsivoglia ruolo politico nell’area. L’isolamento tunisino favorisce l’auto-referenzialità del regime che cerca di aprirsi all’esterno sul piano economico e commerciale ma restringe e soffoca gli spazi di libertà democratiche interne. Lo scambio virtuoso che offre ai tunisini Ben Ali é quello di una pace sociale, un progresso economico lento ma sostanziale in cambio di un sistema che non sopprime le libertà civili ma che di fatto abolisce la dialettica democratica. Decapitate le élites del sindacalismo massimalista e dell’islamismo politico nei primi dieci anni di presidenza Ben Ali ha passato l’altra metà del suo ventennio a perpetuare la propria permanenza al potere pur attraversando intrighi di Palazzo e tentativi di putsch militare. L’unica transizione democratica che si prospettava all’inizio del secolo per i tunisini era un passaggio di consegne nell’ambito familiare alla donna che Ben Ali aveva nel frattempo sposato che si stava trasformando in una specie di Imelda Marcos cartaginese, impicciona e avida di potere. La crisi economica dell’occidente e l’inevitabile desiderio di ricambio fisiologico hanno condotto il suo regime a un capitombolo che la Storia ufficiale vuole generato dalla casualità ma che in realtà è stato il frutto di un complotto interno ben sostenuto da centrali internazionali. Ben Ali non metteva volentieri il naso fuori dal Palazzo di Cartagine, aveva una linea di galleggiamento ordinata: i vicini di casa magrebini (Algeria e Gheddafi) amici ma tenuti a debita distanza, quelli mediterranei, i francesi trattati con lealtà ma senza cedere alla tentazione del servilismo sciocco, furono i padroni di casa non graditi e dovevano perciò scontare una lunga quarantena. Gli Italiani migliori per lui per le affinità e la prossimità territoriale nonché per la loro incapacità congenita di pretendere mano di protezione sui Paesi stranieri. Gli americani rispettati, coltivati per evenienze straordinarie ma non graditi sul territorio per impiantare le loro basi militari. Ben Ali sapeva di guidare un Paese arabo a loro tradizionalmente ostile. Dottrina quest’ultima sgradita a Washington, e quando il Rais è caduto in difficoltà l’aiuto è stato concesso, ma a chi lo stava facendo cadere. “Tunisini vi ho capito” rifacendo il verso al Generale de Gaulle il 10 Gennaio del 2011, dalla televisione il Presidente cercava di riacciuffare una situazione sfuggita dalle sue mani; troppo tardi. I cecchini islamici con pallottole israeliane tiravano sulla folla inferocita contro Ben Ali e la sua cricca, il popolo cadde nella trappola di pensare che il buon padre della Patria si fosse trasformato in un diavolo. Mesto fu fatto salire su un aereo e condotto con l’inganno a Gedda da dove non ha fatto più ritorno, neanche da morto. È stato protagonista minore di una storia dei nostri giorni, se la sete di libertà dei tunisini è cresciuta e se lo stato non è imploso dinnanzi alla Rivoluzione lo si deve anche a lui che crebbe nel Paese educazione e benessere oltre a rafforzare lo Stato che ha dato prova di essere solido ed organizzato. Ho visto Ben Ali prima e dopo la morte di mio padre Bettino (“se gli italiani mi chiedono di dargli Craxi io gli piscio in testa” diceva agli amici perentorio) aveva ben chiaro che guidava un piccolo Paese esposto a tutti i venti. “Vedi” mi disse “gli uomini politici cadono spesso per problemi con le donne, con il denaro e per la salute” pensava a Bill Clinton. Ben Ali affrontò tutte e tre le questioni; cadde politicamente e alla fine la salute gli è stata fatale. Aveva 83 anni. A Tunisi lascia il suo ricordo, a Gedda le sue ossa.