ROMA, UNA BELLISSIMA GOTHAM CITY
Oggi ho fatto una lunga camminata in centro a Roma, cercando un libro particolare nelle poche librerie antiquarie rimaste in questa città smangiata dal senso dell’orrido. Ebbene posso dire senza tema di smentita che il tessuto connettivo urbano che collega le meraviglie di Roma, straordinari palazzi storici, chiese antiche, fontane incantevoli, monumenti e musei, è ormai quanto di più becero e degradante si possa immaginare. Non parlo nemmeno dei rifiuti, quelli ormai fanno parte del paesaggio, ma dei segni dell’incuria continuata e aggravata che punteggiano la città. Le impalcature arrugginite di lavori eterni mai finiti; le reti di plastica arancione stese attorno a buche mai riempite, a cantieri deserti; i ceppi di alberi tagliati e lasciati lì a marcire, scambiati dalla gente per pattumiere in cui gettare bottiglie, buste, scarpe (sì, anche scarpe) e qualsiasi altra spazzatura possibile; i lampioni spenti e mai riparati; i graffiti malefici sfacciati vergati su colonne antiche, statue, lesene, tutto; e dulcis in fundo gli esercizi commerciali. Legali e illegali. Con licenza e senza. Tanto ormai non ci si capisce più nulla. Qui sembra che chiunque possa fare quello che vuole. Nei cinquanta metri che a Roma separano una chiesa barocca, piena di capolavori dell’Arte, da una splendida rovina romana che gronda Storia e bellezza, brulica l’inferno. Pullulano rivendite di souvenir fatti in serie in Cina con materiali di scarto esposti in strada che nemmeno in un suk; negozi di abbigliamento brutto, andante, pacchiano, inguardabile; rivendite di cibi vari e avariati, dall’etnico al fritto, al surgelato scongelato al microonde e passato per bio, alla “tipica” cucina romana ” qui la vera carbonara” col cuoco pachistano, i camerieri nepalesi, la cassiera cinese e l’accalappia turisti imbonitore in strada con l’accento del Cairo; botteghini di cambiavaluta coi cartelloni fosforescenti e il cambio ( da rapina) del dollaro; l’ambulante col banchetto di cose incomprensibili e sospette che non si capisce che cosa siano e occupa tutto il marciapiede; altri souvenir; altre friggitorie, altri cambiavalute, altre jeanserie, maglierie, scarperie, cinterie ( ma quanti vestiti si mette la gente?). E rumore. Tanto rumore. Il traffico, la musica che rimbomba da un negozio all’altro, i clacson, le sirene, i tamburi. Sì pure i tamburi, che nel caos totale del cuore di Roma, ero a Largo Chigi, non capisci nemmeno dove siano, chi sono, che fanno. E ti vengono in mente i tamburi di guerra dell’antichità quando si cercava di atterrire il nemico col suono cadenzato e spaventoso dei passi dei giganti che i tamburi simulavano. Roma è una specie di Gotham City de noantri. E Grillo che fa Joker (l’avete visto il video con lui truccato, un thriller vivente). Meno male che a un certo punto ho trovato la porta della libreria antiquaria. Mi sono rifugiata dentro. Ho trovato il piccolo libraio dai capelli bianchi che mi ha accolto con un sorriso, un po’ Einstein un po’ Merlino, tanti libri alle pareti, silenzio, il pulviscolo di polvere nell’aria, la semplicità, e tutte quelle pagine, copertine, titoli, storie, tempo, ricordi, persone. Tutti fra gli scaffali, fitti fitti. C’è ancora pace, ci sono ancora oasi. Troviamole, salviamole, accudiamole, frequentiamole. E’ da lì, da posti del genere, da silenzi così, che, forse, si può ricominciare.
