MIGRANTI, AFGHANISTAN, USA, UCRAINA E LE NON NOTIZIE

Il Nostro continua a proporre agli immigrati e ai loro paesi d’origine uno scambio che, a quanto pare, ritiene vantaggioso per tutti. Riassumibile nel “non fateli venire e noi li aiutiamo a casa vostra, anzi loro”.A questo punto, però, i casi sono due. O intende prendere per il sedere non solo gli immigrati ma anche i loro governi, sperando che non se ne accorgano. O non sa di cosa parla e ,come diceva mia zia Giuliana, “apre la bocca e lascia andare”.Sostituire gli aiuti ai governi alle rimesse è prendere per il sedere gli immigrati: consapevoli della non piccola differenza che gli aiuti spariscono nelle tasche sbagliate mentre le rimesse arrivano alle persone giuste. Pretendere che i governi rinuncino alle future rimesse in cambio del soccorso europeo è prendere per il sedere non solo gli interessati ma anche se stessi.E valgano a questo riguardo i dati pubblicati da “Le Monde”, relativi a tre flussi finanziari (rimesse, investimenti esteri diretti e aiuti pubblici agli stati) destinati ai paesi a medio e basso reddito dell’Asia, Africa e America latina (in una fascia, per intenderci, che va da Cina, India e Messico fino ad Haiti e isolotti del Pacifico).Nel 1990 gli aiuti pubblici (poco meno di 100 miliardi di dollari) precedevano sia le rimesse (inferiori ai 50 miliardi di dollari ) che gli investimenti esteri diretti. Nel 2018, gli aiuti pubblici si sono attestati, in un contesto di stagnazione, intorno ai 150 miliardi mentre le rimesse, salite a 526 miliardi, hanno superato, per la prima volta, gli investimenti esteri diretti, in calo da vari anni. Da tenere presente, in tale contesto, che il clima politico, sia in Europa che negli Stati Uniti è, per dirla eufemisticamente, tutt’altro che favorevole a qualsivoglia impegno volto ad “aiutare gli altri”.Si consideri, in conclusione, che in cifre assolute questo flusso di rimesse ha beneficiato India, e Cina (oltre 70 miliardi) e, in misura quantitativamente molto minore Messico, Filippine, Egitto, Vietnam, Bangladesh e Ucraina; mentre, in termini relativi, ha rappresentato il 7% del Pil dei paesi a basso reddito, con punte del 20/30% nell’isola di Tonga, nel Nepal, a Haiti, in due repubbliche dell’Asia centrale e dell’America centrale, oltre che in Cisgiordania e a Gaza.Troppe cifre mi direte. E avete ragione. Perché ne basterebbero due o tre per dimostrare che l’offerta di Salvini è non solo una beffa ma una vera e propria provocazione. Da tempo siamo stati abituati a pensare ai migranti come “povera gente” (nel loro stesso paese) costretta all’esilio da guerre e persecuzioni di ogni tipo. Una manna per i buonisti, portati di per sé a considerare i migranti come vittime e non come persone. E, di riflesso, a vedere il fenomeno come un diritto per i suoi protagonisti ma non come una risorsa per il paese d’arrivo. Ma una manna ancora maggiore per i cattivisti, per i quali l’immigrazione è, di per sé, un pericolo e che vedono nel moltiplicarsi delle richieste d’asilo un trucco per evadere le leggi esistenti.A richiamarci alla realtà, non certo i politici ma gli industriali o, come si dice, i datori di lavoro. Che si tratti di Francia, di Germania o di Polonia. Il loro parere è unanime: a frenare lo sviluppo non è solo la carenza di investimenti pubblici (questo per i sostenitori dell’austerity…) ma anche la mancanza di manodopera qualificata (questo per i sostenitori dell’immigrazione 0.0).Un grido di dolore che non è rimasto inascoltato: e che sta portando ad una revisione delle politiche migratorie. Più controlli, più vincoli in paesi come la Francia e la Danimarca (dove si sostiene, da parte di un ministro socialdemocratico, che Il sistema di welfare diventa insostenibile con l’accoglienza di sempre nuovi profughi); ma nel contempo riapertura all’arrivo di migranti per ragioni di lavoro. Graduale in Francia, programmaticamente senza limiti in Germania, “alla vergognosa” in Polonia (dove stanno entrando diecine di migliaia di persone dalla vicina Ucraina (in questo caso di provata fede cattolica…).Si attendono ulteriori sviluppi. Rimane il giudizio sull’immigrazione come risorsa. Un giudizio, mi direte, sospetto perché viene dai capitalisti; ma che potremmo tranquillamente, da cittadini democratici, fare anche nostro. Sono ripresi in questi giorni i colloqui di pace, tra americani e talebani. Con obbiettivi più ampi e politicamente equilibrati. Non solo il ritiro americano accompagnato dall’impegno a contrastare il ritorno dei jihadisti nel paese; ma anche un processo di de escalation della violenza, nella prospettiva del cessate il fuoco. Altri, leggi i russi, stanno lavorando per includere nella trattativa il governo di Kabul e le altre fazioni afghane. Ma si dà il fatto che le fazioni afghane si combattono per conto proprio; e che, a tre mesi dalle elezioni, nessuno sa ancora chi ha vinto; per non dire che ambedue i contendenti pensano di aver vinto.Eppure, la collettività internazionale aveva fatto del suo meglio per insegnare la democrazia. 18 anni di insegnamento, migliaia di miliardi di spesa, docenti da tutto il mondo, la benedizione dell’Onu. Colpa degli allievi? O degli insegnanti? O del progetto? Chiusa la procedura di impeachment alla Camera, si apre ora il procedimento al Senato. E il leader dei repubblicani, Mitch Mc Connell è tormentato dal dubbio. Un dubbio, diciamolo subito, che non riguarda l’esito del voto. Qui i repubblicani sono in maggioranza e le loro possibili defezioni (una o due persone) sono più che controbilanciate da quelle che potrebbero maturare in campo democratico. Il suo problema è, invece, un altro: tirarla per le lunghe o chiudere al più presto possibile?Per un osservatore esterno, dovrebbe prevalere la seconda ipotesi: oggi Trump è dato ancora per vincente; il proseguimento del dibattito, con nuove rivelazioni, potrebbe nuocergli.Il dibattito interno al G.O.P sulla questione può invece spingere nella prima direzione. E per due motivi che, a parere di chi scrive, sono degni di attenzione.Primo non è affatto detto che la macchina del fango debba travolgere per forza Trump e solo Trump. Per trovare la pistola fumante ci vorrebbe la collaborazione delle attuali autorità ucraine; le quali non hanno la minima voglia di collaborare ad un processo che le vedrebbe vittime se non complici di un complotto internazionale. E non è affatto detto che la macchina del fango non travolga anche Biden e la sua famiglia.Secondo, i repubblicani hanno tutto l’interesse alla prosecuzione di una rissa senza esclusione di colpi. Perché trasformerebbe in un ok corral, ambiente e tipo di confronto in cui il Nostro eccelle, quello che avrebbe dovuto e potuto essere un processo alle politiche dell’attuale amministrazione; offrendo, nel contempo al presidente uscente l’avversario che lui ritiene ideale, Biden,Si attendono sviluppi. Si è chiuso con un nulla di fatto l’incontro tra i firmatari degli accordi di Minsk. Prendendo atto dei risultati sinora raggiunti: scambio dei prigionieri, riduzione dei livelli di violenza, inizio, sia pure stentato, del dialogo tra le parti. Ma constatando la mancanza di accordo sul tema centrale: quello del futuro del Donbass. Qui abbiamo la concomitanza di tre fattori: la riluttanza di Mosca a fare concessioni senza contropartite in termini di alleggerimento delle sanzioni; la riluttanza di Kiev a muoversi nell’orizzonte di un sistema similfederale basata sul riconoscimento dell’identità russofona del Donbass; e, infine, l’impossibilità di stabilire la data e il contesto in cui dovrebbero svolgersi le elezioni nello stesso Donbass e sotto il controllo di chi.Dobbiamo preoccuparci per questo? Probabilmente no. Perché è nell’interesse di molti tenere aperta la tensione; ma è anche nell’interesse di tutti il tenerla sotto controllo. Da un mese non abbiamo più notizie dalla Bolivia, da Hong Kong e dalla Siria.Perché? E qui tiriamo a indovinare, sulla base dei pochi dati di cui disponiamo.In Bolivia l’accordo sulla modalità di nuove elezioni che era a portata di mano, non è stato raggiunto. Il che, spiace dirlo, verrebbe a configurare la caduta di Morales non come legittima reazione a un sopruso ma come un vero e proprio colpo di stato.A Hong Kong si e’ avuta una grandissima, pacifica anzi concordata e unitaria manifestazione per celebrare la data della dichiarazione dell’Onu sui diritti dell’uomo. Il tutto in un contesto in cui il livello di violenza è nettamente calato dopo le elezioni. Il che colloca Hong Kong come luogo di una battaglia per la democrazia; nello sconcerto di quanti lo vedono come luogo dello scontro tra Bene e Male.In Siria non è successo nulla. Il che turba non poco quanti lo vedono, ancora, come luogo dello scontro tra Buoni e Cattivi e come sfogatoio della nostra, impotente, indignazione Israele ed Emirati Arabi Uniti, accordo per la fornitura di gas. Ma, a fornirlo, è Israele.