COSI’ TRUMP HA DICHIARATO GUERRA A CHI INDAGA SU DI LUI

COSI’ TRUMP HA DICHIARATO GUERRA A CHI INDAGA SU DI LUI

Donald Trump e le bufale su El PasoHo trovato sorprendente l’inchiesta firmata da quattro giornalisti delNew York Timese pubblicata il 19 febbraio in cui si denunciano i tentativi diDonald Trumpdi mettere a capo delleindaginisull’ex avvocatoMichael Cohen,Geoffrey Berman, il procuratore del distretto Sud di New York, repubblicano e suo fedelissimo. Sorprendente non è soltanto la notizia, e cioè che Trump abbia l’audaciadi intromettersi come un boss qualsiasi negliaffari giudiziariche lo riguardano sperando di uscire indenne dalle inchieste, ma per come Mark Mazzetti, Maggie Haberman, Nicholas Fandos e Michael Schmidt, gli autori dell’inchiesta, abbiano ricordato con fatti, nomi e date, i tentativi del presidente di silenziarepersonaggi coinvoltinelle indagini o pronti a parlare, di mettere i bastoni fra le ruote allagiustiziae infangare a botte ditweetle carriere di così tante persone. La prima crisi dell’amministrazioneTrump legata alRussiagate, ricordano i giornalisti, cominciò 25 giorni dopo l’inizio del suomandato, quando il neo eletto consigliere della Sicurezza nazionaleMichael Flynnvenne licenziato perché aveva negato di aver incontrato esponenti del governo di Mosca. «Lo licenzio così ci liberiamo di questa cosa sulla Russia!», aveva annunciato soddisfatto Trump durante una cena con suo genero e conChris Christie, l’ex governatore del New Jersey. Ovviamente, abbandonare Flynn nel fango non ha risolto un bel niente: poco dopo venne fuori la notizia che Trump aveva invitato a cenaJames Comey, l’allora direttore delFbiper chiedergli inutilmente di smettere di indagare su Flynn. Non era mai successo (a parte durante gli ultimi mesi del mandato diRichard Nixon), che un presidente si intromettesse in questo modo negli affari del Bureau, e la cosa fece molto scalpore. Anche Comey, come Flynn, venne screditato, maltrattato, e infine licenziato. Fu forse l’errore più grosso di Trump, perché il risultato di questa richiesta assolutamente fuori luogo fu cheRod Rosenstein, il vice dell’allora procuratore generaleJeff Sessions, chiedesse a un certoRobert Muellerdi capire cosa il presidente stesse cercando di nascondere. Lo fece Rosenstein perché Sessions, amico fedelissimo di Trump, uscì dal caso in quanto indagato. Il passo successivo di Trump, sempre più nel pallone, fu quello di iniziare unacampagna mediatica fortissima, contraddittoria e purtroppo efficace, per diffamare pubblicamente Mueller, minacciando anche di licenziarlo (cosa che se avesse fatto, avrebbe marcato l’inizio della fine della sua carriera di presidente): fece di tutto per far perderecredibilitàalle indagini, attaccando frontalmente l’imparzialità di Mueller. Il tutto può essere riassunto in quel «witch hunt», caccia alle streghe, di cui il tycoon scrive tutti i giorni su Twitter. Nel frattempo, arrivò la notizia che Michael Cohen, avvocato e braccio destro del presidente, aveva deciso di raccontare tutto ciò che sapeva: disse che Trump gli ordinò di pagare le donne con cui aveva avuto dei rapporti sessuali, e che partecipò alle trattative con il governo russo per costruire unaTrump Towera Mosca. Come reagì il presidente? Minacciò apertamente l’ex avvocato, consigliando al Fbi di aprire un’indagine sugli affari di suo suocero. Un’altra mossa mafiosa, intimidatoria e generalmente molto poco consona al ruolo di presidente degli Stati Uniti. Trump è ormai agli sgoccioli: non sa più cosa fare per fermare questaenorme indagine, che ormai va avanti da due anni. Così si arriva all’inchiesta delNew York Times: il presidente ha scelto Michael Whitaker come procuratore generale ad interim chiedendogli di mettere Geoffrey Berman a capo delle indagini. La sua ultima possibilità di mettere i bastoni tra le ruote a Mueller è proporreWilliam Barrcome procuratore generale: Barr aveva scritto, detto e ridetto che secondo lui il presidente in carica non poteva essere accusato diostruzione alla giustiziae che aveva più poteri di Superman. La domanda da farsi è semplice: perché tutti questi tentativi di frenare le indagini se non ha nulla da nascondere? La risposta, per ora, ce l’ha solo Mueller, e si attende il suo resoconto come quando da bambini si aspettava Babbo Natale.