L’ORDINE SEGRETO DELLE NOSTRE REAZIONI: DI RAP, DI LIRICA, DI NOI

In un’intervista di sette anni fa, Ettore Scola disse ad Antonio Gnoli: “…c’è un ordine segreto. I libri non puoi metterli a caso. L’ altro giorno ho riposto Cervantes accanto a Tolstoj. E ho pensato: se vicino ad Anna Karenina c’ è Don Chisciotte, di sicuro quest’ ultimo farà di tutto per salvarla”. A parte la bellezza dell’idea (io mettereiI Buddenbrookvicino aIt, ma solo per far divorare Bendix Grünlich da Pennywise), è il concetto dell’ordine segreto su cui vorrei ragionare un po’. In un certo senso questo post riprende i precedenti, perché anche qui c’è una polemica, o più di una, anche qui ci sono gli ordini predeterminati, per cui esiste una provocazione, esiste una risposta femminista, compatta ma, sempre a parer mio, non meditata nei toni e nelle richieste, esiste una contro-risposta dove si dirà che le femministe sono, tutte, censorie e che per fortuna ci sono anche donne che scrivono benissimo e che sono contro le femministe, e via, e via e via. Le cose sono, forse, più complicate di così: intanto, se parliamo di musica e musici contro le donne, dovremmo metterci molto comodi e andare indietro nel tempo. Per esempio, nell’opera lirica, se va bene, l’eroina muore di tisi. Le altre salgono sul rogo come Norma, vengono pugnalate da un tagliagole come Gilda, si buttano da Castel Sant’Angelo come Tosca o in un precipizio come Iris o su una spada come Liù e Cio-Cio-San, si suicidano col veleno nascosto nell’anello, muoiono di pazzia come Lucia di Lammermoor, vengono intossicate da un mazzo di violette, si bruciano sulla pira come Brunilde, vengono strangolate da un marito pazzo di gelosia – ma che morendo a sua volta implora un ultimo bacio – come Desdemona. In un bell’intervento sulle disgraziate signore del melodramma, Piero Brunello ricordava che tutto questo era inevitabile: perché per la scienza di fine Ottocento le donne erano “una sorta di fondo oscuro, di sostrato biologico, un insieme di virtù pre-sociali o anti-sociali, perché erano legate alla natura, alla primitività, all’animalità (mestruazione, gravidanza, cicli lunari). Da un lato natura, animalità e primitività; dall’altro lato sentimenti, affetti, ricordi familiari, in altre parole: poesia. Nell’opera lirica quando sta per cantare la donna si sentono gli arpeggi dell’arpa. (Suona il corno? La voce del destino. Tamburi e trombe? Soldati in guerra.)”. Andando avanti. Chi di noi non ha canticchiato “te la ricordi Lella, quella ricca” di Lando Fiorini senza rendersi conto che è di un femminicidio che si sta parlando? Tu nun ce crederai nun ciò più vistol’ho presa ar collo e nun me so’ fermatoche quann’è annata a tera senza fiato…Ner cielo da ‘no squarcio er sole è uscitoe io la sotterravo co’ ‘ste manoattento a nun sporcamme sur vestito.Me ne so’ annato senza guarda’ ‘ndietronun ciò rimorsi e mo’ ce torno purema nun ce penso a chi ce sta la’ sotto. E la carezza nel pugno di Celentano? E il Teorema di Marco Ferradini? (Prendi una donna, trattala male, lascia che ti aspetti per ore….dosa bene amore e crudeltà”). E, per estensione alla letteratura, Vasja Pozdnyšev dellaSonata a Kreutzerdi Tolstoj, non dice forse che il perfetto amore maschile viene incrinato dalle donne che, appunto, se la vanno a cercare con i loro abiti privi di pudore? “ Sono convinto che verrà il giorno, e sarà forse molto presto, in cui ci si chiederà con stupore come abbia potuto esistere una società che consentiva azioni così lesive dell’ordine pubblico come quegli abbellimenti corporali che sono permessi alle donne nella nostra società. È come se si mettessero sulle passeggiate o lungo i sentieri trappole di ogni sorta, o peggio! Per quale motivo si proibisce il gioco d’azzardo, mentre alle donne sono consentiti abiti da meretrice che eccitano i sensi? Il pericolo è mille volte maggiore!”Il punto è che io Tolstoj e persino Lando Fiorini voglio continuare rispettivamente a leggerlo e a canticchiarlo mentre dò i croccantini ai gatti. E di certo leggo e faccio leggere gli scrittori che narrano in altro modo le donne, come Stephen King (che non amo solo perché narra in altro modo le donne, peraltro). Ma l’idea di censurare qualcosa o qualcuno continua a sembrarmi un’idea pericolosa, e anche perdente. Quanto al rap, sostengo da anni che una musica costruita sull’immediato presente e impregnata delle tradizioni del più lontano passato (fino all’antico recitar cantando, ebbene sì) meriterebbe più riflessioni e meno note di cronaca, che lo hanno accompagnato da quando è nato facendolo diventare lo spauracchio dei media, dai tempi in cui Dan Quayle, il non vispissimo vicepresidente Usa fino al 1993 che già attribuì a una soap opera la responsabilità della perversione dei tempi, puntò l’indice contro Ice T, esponente di punta di un rap finto-criminale accusandolo di istigazione alla violenza per quel “muori porco muori” contenuto nel branoCop killer, Ammazzapoliziotti. Una lettura più profonda, o comunque puntata sul versante spettacolare del fenomeno (come nel punk, l’ odio dei rappers è velenoso quanto, nella maggior parte dei casi, falso) viene da un vecchio saggio che vi consiglio di recuperare,Rap, storia di una musica neradel giornalista e musicista inglese David Toop, (Edt). Il rap, diceva Toop, è musica di ladri, lavora sul già noto, riproponendolo ma distruggendone la familiarità (come già il jazz, peraltro), smentendo il diktat adorniano secondo cui l’ arte non è riproducibile e appropriandosi di tutto quel che capita a tiro, l’ urlo di James Brown e le schitarrate del vecchio rock, ridotti a frammenti sonori e rimontati in un nuovo ordine. Il problema della violenza – inclusa quella contro le donne – contenuta nel rap andrebbe, secondo Toop, letto in questa chiave: impossibile per una musica che si configura come fax sonoro del reale, come un pezzo di cronaca da ballare, ignorare la violenza diffusa quotidianamente dai media. Emblematico, in questo senso, è il caso degli N.W.A. o Niggers With Attitude, il cui video, che utilizzava pezzi di reportage fatti da reti televisive come la Cnn, venne bandito da Mtv per aver contravvenuto a uno statuto che “proibisce i video che celebrano la violenza e/o mostrano scene di violenza gratuita”. I rappers non hanno fatto altro che elaborare quella che Toop chiama Faction, fiction più action, che nei media rende indistinguibili amor di cronaca ed eccitazione voyeuristica. Incalza, su richiesta di Toop, il rapper L.L. Cool J: “Rap non significa violenza. Non è che ascolti un disco rap e poi ti viene voglia di uscire e di ammazzare qualcuno. Invece il rap tiene i ragazzi lontani dai guai… Mette un sacco di gente nera nello stesso posto e nello stesso momento. A loro questo non piace, perché magari questi neri possono mettersi a pensare a qualcos’altro oltre al rap… Hanno questa mania del ghetto e delle cazzate di strada. Il ghetto non c’ entra. Io vengo da Queens. Il ritmo è nelle strade. La durezza. Ho i miei problemi, sono cresciuto e ho vissuto duramente, ma non vengo dal ghetto. Merda, io vivo con mia nonna”. Giù le mani e i commenti: non sto dicendo che condivido quanto cantato tre anni fa dal rapper sanremese. Ovviamente no. Sto dicendo che esistono i contesti, esistono le caselle ufficiali che prevedono e anzi esigono le nostre reazioni, e poi dovremmo esistere noi, che dobbiamo imparare, tutti, a decodificare il presente, e creare il nostro ordine segreto del mondo (per esempio, Eminem e Mozart, messi vicini, avrebbero cose da dirsi, secondo me).