BUONGIORNO UN CORNO! GIOVEDI’ 23, IL POPOLO DEL WEB …

Allora, Crimi è diventato il reggente di M5s …. no, non ce la faccio scusate, passiamo alle questioni serie … Sinisa Mihajlovic non mi è mai stato simpatico. E chi se ne frega direte giustamente voi, eppure oggi è giusto prendere le sue parti. Perché è diventato l’emblema delle contraddizioni insopportabili della vita digitale in cui siamo immersi. Il motivo per cui lo ritengo lontano dalla mia idea del mondo risale alla sua sbandierata amicizia con Željko Ražnatović, conosciuto con il soprannome “Arkan”, ex capo ultras della Stella Rossa e criminale serbo che nel conflitto dell’ex Jugoslavia fu responsabile di crimini di guerra in Croazia e in Bosnia, al comando delle unità paramilitari serbe. E’ come essere amici di Himmler, c’è un limite a tutto. Mihajlovic non si limitò rivendicarne l’amicizia, ma utilizzò la sua influenza mediatica di giocatore conosciuto in tutto il mondo, per descriverlo come “un eroe per il popolo serbo”. A lui, che pure però ha condannato i crimini di guerra, viene attribuita la richiesta ai tifosi della Lazio, per cui giocava, di mostrare allo stadio uno striscione dedicato ad Arkan pochi giorni dopo che questi venne ucciso. Parliamo ormai di venti anni fa, quando il web non era entrato così prepotentemente nelle nostre vite. Poi smise di giocare, divenne allenatore e pochi mesi fa è stato costretto a fare i conti con una bruttissima malattia per cui si sta ancora curando. Esprimo un’idea molto personale, mi colpisce il dolore di tutti, davvero, e auguro a lui e a chiunque soffra di un male di guarire, lunga vita e felicità, ma questo non mi porta a modificare la mia opinione sulla persona. Devo dire che è stata bella l’ondata di solidarietà e affetto che è seguita all’annuncio da lui stesso fatto sulle cure che stava affrontando. Ma questi fenomeni sul web, e qui entriamo nel vivo della questione, non sono mai del tutto sinceri né specchio di un Paese, devono essere presi per quello che valgono, ondate emotive che possono mutare nel giro di un secondo nell’esatto opposto. E così è stato per Mihajlovic. Da qualche ora, dopo che, è allenatore del Bologna, aveva detto pubblicamente che alle elezioni regionali di domenica prossima in Emilia Romagna sperava nella vittoria della leghista Bergonzoni è stato pubblicamente lapidato da quello stesso popolo del web che ne aveva esaltato il coraggio nell’affrontare la malattia. La prima constatazione è che dall’apprezzamento per un criminale di guerra parafascista all’endorsement per la Lega si spostato molto a sinistra. Ma a parte gli scherzi il problema centrale è che il popolo del web, ammesso che esista come entità reale che meriti dignità di essere considerata attendibile, ha dimostrato la sua banalità più pecoreccia. Molti sono arrivati addirittura a dirgli che gli stava bene la malattia che gli era capitata e gli hanno augurato la morte. Sono certo che tra questi sciacalli una buona parte siano gli stessi che hanno espresso commozione quando fu annunciata la sua malattia. Intanto Mihajlovic, come tutti, può e deve dire quello che gli pare e non soltanto quello che ci piace. Già che siamo qui a ribadire questa ovvietà la dice lunga sulla crisi sociale italiana. Ma il punto centrale è questo popolo del web presunto o immaginario che ha lievemente rotto i coglioni, scusate il francesismo. Come è possibile dare valore serio, c’è che ci costruisce la linea politica del suo partito, a un’entità che viene con evidenza utilizzata solo in chiave strumentale, come i sondaggi? Il ruolo dei media seri dovrebbe essere quello di alfabetizzare alla cultura digitale non quello di esaltare le masse per poter scrivere articoli. Bisogna ridefinire i veri confini della realtà digitale, se non si fa chiarezza su questo punto l’informazione italiana continuerà a pubblicare minchiate che portano click e pubblicità con la scusa che poi portano i soldi con cui si può poi fare informazione seria. Abbiamo un problema a Berlino. Ma grosso.Ce lo racconta un articolo su Il Fatto Quotidiano di oggi. Secondo un rapporto dei comandi di polizia della Turingia, dell’Assia e della Renania-settentrionale Vestfalia, in Germania dal 1990 l’estrema destra sarebbe colpevole di 100 omicidi. Le organizzazioni che fanno riferimento a fascismo e nazismo possono contare su 24mila aderenti “di cui almeno 12mila pronti a far ricorso alle armi”. Altro che le minacce a Liliana Segre, qui parliamo di un esercito armato in guerra che spara e uccide. Nel mirino del rapporto è finita in particolare quella parte di Germania che fino al 1989 si chiamava Repubblica Democratica, la Germania est. Gli esperti sostengono che “i cittadini dell’est hanno sviluppato un rifiuto verso il governo e lo stato democratico” e che “i problemi vengono visti come una ferita inflitta dalle istituzioni”. Oltre alla localizzazione orientale lo studio spiega che gli estremisti di destra “sono perlopiù uomini, bianchi, in una fascia d’età dai 18 ai 50 anni, con una bassa istruzione”. E che uccidono o sono pronti a farlo, particolare non da poco. “La società tedesca muta velocemente e “nella mente delle persone sta cambiando da una situazione positiva ad una negativa”. Tematiche che fanno temere per la tenuta del sistema sociale e democratico. Il timore principale dei tedeschi raggiunti dal messaggio dell’estrema destra sarebbe la preoccupazione della mancanza di competitività internazionale dell’economia, causata dai cambiamenti troppo veloci e non condivisi delle politiche dovute all’appartenenza all’Unione Europea. A me sembra un po’ semplicistico concludere che esista ormai una classe sociale che si sente abbandonata e vede la propria identità minacciata da “fenomeni complessi”. Intendo dire che arrivare a sostenere che esista un’intera classe sociale che aderisca ai principi dell’estrema destra sminuisce la stessa lettura del fenomeno sociale dell’estrema destra. Soprattutto perché si rischia di identificare una fascia di pivertà come autrice dei cento omicidi da cui siamo partiti per lanciare questo allarme. L’impressione è che economisti e analisti politici non abbiano davvero più un’idea reale e materiale dello scontro sociale in atto. Colpevolizzare l’intera fascia impoverita della popolazione per gli atti violenza in Germania è un grande regalo all’estrema destra. Voglio affrontare un tema scomodo ma che ritengo necessario. Criticare il governo israeliano non equivale a essere antisemita, nonostante l’antisemitismo sia un fenomeno in crescita, pericoloso e da contrastare con tutti i mezzi. Il presidente francese Macron, come vedete due giorni fa lo criticavo duramente per la riforma previdenziale nel suo paese e oggi che penso ne abbia fatta una giusta ne parlo bene, questo si fa in una democrazia senza i paraocchi, Macron era in visita in Israele per i 75 anni della liberazione di Auschwitz. Il presidente francese al momento di entrare nella basilica di Saint-Anne, che è francese e gode di una sorta di extra territorialità simile a quella di un’ambasciata, è intervenuto duramente quando gli agenti di sicurezza francesi hanno avuto un diverbio con quelli israeliani, che volevano a loro volta entrare nella chiesa per proteggere Macron e il suo seguito. “Andate fuori. Mi spiace. Conoscete le regole. Nessuno deve provocare nessuno”, ha detto rivolto agli agenti israeliani. Le forze di sicurezza israeliane sono volute entrare nonostante la sicurezza fosse assicurata dagli agenti francesi e questo ha provocato la reazione di Macron. Poi si è scusato per i toni, ma senza arretrare sulla sostanza. “L’antisionismo, quando equivale alla negazione dell’esistenza di Israele come Stato, è una forma di antisemitismo”, ha ribadito, il che, ha poi aggiunto, non equivale a non poter criticare il governo israeliano. Sembrerebbe una banalità ma in questo mondo purtroppo non lo è. In Israele si andrà di nuovo al voto il 2 marzo prossimo. Tre elezioni in meno di un anno a conferma di una crisi politica di ampie proporzioni che impedisce la formazione un nuovo governo. Nei programmi dei candidati la parola pace è tabù, fa perdere voti, nessuno si azzarda a distaccarsi dalle politiche tradizionali nei confronti dei Territori Occupati dove sono insediati, illegalmente per la comunità internazionale, migliaia di coloni. Nessun leader politico mondiale, per opportunismo e paura di essere accusato di antisemitismo, ha il coraggio di ricordare ai leader israeliani che questa situazione è un macigno sulla vita stessa degli israeliani. Nessuno dei candidati in lizza ha intenzione di affrontare la questione palestinese in maniera diversa dagli ultimi decenni. Una democrazia compiuta non può funzionare per rimozione dei problemi. Quando Israele chiede alla comunità internazionale di condannare, giustamente aggiungo come nota personale, gli attacchi dei terroristi di Hezbollah, chiedendo quindi il rispetto delle regole, deve poi rispettare le regole basilari della Convenzione dei diritti umani e questo non avviene verso la popolazione Palestinese. Queste cose vanno dette proprio da chi rispetta Israele e gli israeliani. Quando vado all’estero e in quanto italiano mi identificano con Berlusconi prima e con Salvini oggi mi arrabbio moltissimo naturalmente, perché io sto con quell’altra parte del paese antirazzista e solidarista. Con lo stesso spirito voglio essere amico d’Israele chiarendo che ho simpatia per quella parte di cittadini del loro Paese che vogliono la pace e che sono additati ingiustamente come “traditori” dalla totalità dei politici in lizza per le elezioni di marzo.