IL CORONAVIRUS, I COMPLOTTI E L’ASCENSORE

IL CORONAVIRUS, I COMPLOTTI E L’ASCENSORE

Uno studia tanto, poi le cose importanti le impara in ascensore. Questa mattina chiamo l’ascensore di casa per scendere e, mentre aspetto, arriva il mio dirimpettaio del quinto piano, il geometra Carlini. Il discorso va subito sul coronavirus. “Tutto procede come da programma” mi fa sorridente. “Scusi, quale programma?” “Ma è ovvio: il programma americano. Non mi dica che non lo sapeva, col mestiere che fa. Il virus… creato in laboratorio dagli americani” “Dice?” “Ma certo, non sia ingenuo. A Wuhan c’è il più grande laboratorio militare cinese, non mi dica che non lo sapeva”. “Veramente…” “Laboratorio cinese, sì, ma gestito dall’OMS. E chi è il principale finanziatore dell’OMS? Chi è?” “L’America, scommetto”. “Bravo! E quando è scoppiato il virus?” “Questa la so: i primi di dicembre! Ma la Cina lo ha dichiarato solo a gennaio”. “Bravo! E cos’è successo a Wuhan alla fine di novembre?” “Non saprei. Cos’è successo?” “Ma come? Trecento militari americani sono andati a Wuhan alla fine di novembre per un evento sportivo militare. Capisce? Gli hanno portato il virus dentro casa. Un gioco da ragazzi. Altro che la guerra dei dazi. Trump ha deciso di stroncare l’economia cinese con un colpo solo”. “Scusi ma… e se poi l’epidemia arriva in America?” “Ma che dice!”. Mi squadra dall’alto in basso con un sorrisetto e con lo sguardo più furbo del suo repertorio. Insisto: “Ci sono già 35 casi in America, forse molti di più, che ancora non sono stati individuati”. “Ma è fumo negli occhi, ovvio. Mica potevano dire che non hanno il virus in America. Si sarebbero scopeti subito, andiamo!” “E con quei 35 malati americani come la mettiamo?” “Lei li ha visti? Coi suoi occhi?” “No, ma che c’entra? Nemmeno i morti di Hiroshima li ho visti coi miei occhi, eppure…”. “Stia tranquillo, il virus in America non ci arriva. E se per caso dovesse arrivare, gli americani hanno già pronto l’antidoto. Elementare, Watson. Mica hanno l’anello al naso, gli americani!” L’ascensore arriva a terra e lì salutao il geometra. Ma com’è che è diventato un esperto di intrighi internazionali? So che è molto attivo in Facebook, deve essere quello. Facebook è un Think-tank, un’accademia, una fucina di premi Nobel. Il simposio di Atene gli faceva un baffo, a Facebook. Mi immergo nel lavoro. Arrivo alla pausa pranzo e decido di andare a casa a mangiare qualcosa. Mentre aspetto l’ascensore per scendere dall’ufficio, incontro l’impiegato dell’ufficio accanto, un assicuratore. Anche stavolta il discorso cade subito sul coronavirus. “Ah, quando fermeranno la Russia sarà sempre troppo tardi. Quel Putin…” sospira. “Scusi, cosa c’entra Putin?” “Ma non lo sa? Strano, col mestiere che fa. Non ha notato che la Russia non ha neppure un caso di coronavirus? Ci pensi… I russi hanno mille chilometri di confine con la Cina, hanno dieci milioni di cinesi sul loro territorio e… nemmeno un caso di coronavirus! Basta questo a spiegare tutto”. “Cioè? Non capisco”. “Il virus è russo… uscito dai laboratori militari. I russi sono famosi per le loro sostanze batteriologiche”. “Sì, ma che c’entra. Non è detto”. “È detto, è detto, si fidi! Lo sa che mestiere faceva Putin prima di entrare in politica? Era il capo del KGB”. “Veramente era un ufficiale di medio livello, non il capo”. “Sempre KGB era! E quando uno nasce con quella mentalità, mica gliela cambi”. Mi saluta con un’aria soddisfatta. “Ne vedremo delle belle, Di Mizio. Buona giornata”. Arrivo a casa. Mi scaldo in padella gli spaghetti avanzati ieri sera, mangio e poi esco per tornare al lavoro. Chiamo l’ascensore e, quando arrivo al piano terra, incontro il ragioniere del settimo piano, Menichini, che aspettava l’ascensore per salire. Menichini è quello sempre così pignolo nelle assemblee di condominio, spacca il capello in quattro. Ovviamente il discorso cade subito sul coronavirus. “Visto che hanno combinato, tedeschi e francesi?” chiede. “No, che hanno combinato?” “Il virus. L’hanno fabbricato loro, per far fuori l’Italia. Il lombardo-veneto, la zona più attiva d’Italia… L’hanno piazzato lì. Una bomba atomica! Davamo fastidio alle loro esportazioni”. “No, scusi, questa è troppo. Non ci credo”. Ride in modo solare. “Non ci crede… Ma col mestiere che fa, queste cose dovrebbe saperle meglio di me”. Il sottinteso è che lui è molto più intelligente di me, ovvio. “Guardi, faccio il giornalista, non il virologo” dico. “Appunto! Appunto!” “Scusi, ma per colpire l’Italia hanno portato il virus in Cina? A seimila chilometri? Monaco di Baviera è a due passi da Milano, non sarebbe stato più semplice…?” “Ma non dica questo, non le fa onore! Mica potevano scoprirsi, tedeschi e francesi. Hanno fatto una manovra di aggiramento, una manovra nascosta, una manfrina insomma, per allontanare i sospetti”. “E naturalmente hanno già pronto l’antidoto, no?” “Ovvio. Per questo non hanno chiuso i confini agli italiani. Se ne fregano: hanno l’antidoto”. “Ma era proprio necessario far fuori l’Italia? Siamo già così malandati in economia”. “Dico… ma lei lo sa a quanto ammonta l’export italiano? E quanto capitalizzano le banche italiane? Lo sa? Ballano cifre as-tro-no-mi-che”. Adesso che l‘ha detto, sembra soddisfatto, sgravato da un peso. “Lei sa dove lavoro” aggiunge, come se questo spiegasse tutto. Lavora all’Agenzia delle Entrate e lì, in effetti, deve averne viste più di Carlo in Francia. “Il piano era pronto da molto, molto tempo” aggiunge Menichini, quasi sottovoce. “E Mario Draghi lo sapeva?” “Ma certo!” sibila. “Quando era direttore della BCE, tutto era già pronto. Si aspettava solo il momento giusto”. Lo saluto e lui mi congeda dicendo: “Ci rifletta, Di Mizio, ci rifletta!” Esco, faccio due passi e torno indietro. Suono al citofono di Menichini. “Ragioniere, sono Di Mizio”. “Ah, Di Mizio. Ci ha già riflettuto?” “No. Volevo solo dirle che ci sono i vigili urbani. Stanno facendo la multa alla sua auto parcheggiata in doppia fila”.