NAPOLI AI TEMPI DEL CORONAVIRUS

C’è un’atmosfera plumbea nelle città, per strada la gente si è fatta più frettolosa e sfuggente. Ognuno ha la mascherina, anchequelli che non la indossano. Una mascherina metaforica che ti scherma dagli altri, potenziali nemici e possibili untori. Se inavvertitamente porgi la mano il tuo interlocutore si ritrae infastidito. E non parliamo dibacie abbracci vietati per decreto ministeriale. Dimostrare affetto in questi giorni è diventato un atto eversivo. Nella solita trattoria in cui vado a mangiare, a Napoli, oggi noi avventori eravamo una decina. Di solito c’è la fila davanti alla porta e bisogna aspettare il proprio turno per poter entrare. I camerieri si guardavano l’un l’altro sbigottiti. Non è mai successo che se ne stanno seduti improduttivi in attesa di clienti. Anche quelli “storici” sono venuti meno, proprio non se l’aspettavano. Stessa desolazione sull’autobus Sita: in questo momento siamo dieci passeggeri di cui quattro immigrati. A quest’ora di solito si rischia di viaggiare in piedi. La porta davanti resta chiusa e sigillata con il nastro per evitare al conducente contatti con i passeggeri. Il coronavirus sta cambiando le nostre abitudini uccidendole