LA MORTE DI GIGI PASQUALETTI, IL SORRISO DEL MESSAGGERO DI UNA VOLTA
Ferisce i miei ricordi la morte di Gigi Pasqualetti. A chi non ha lavorato nel Messaggero èun nome che non dice molto, a noi che lo abbiamo conosciuto, frequentato, che ci abbiamo lavorato, discusso, scherzato vuol dire molto. Mi dispiace che sia andato via in tempi di coronavirus per un’altra malattia infernale che ha spezzato la sua vitalità. Ma Gigi in qualche modo resta, è l’immagine di un giornale sorridente, vivace, intraprendente, pronto a sistemare i problemi. La notizia della sua morte ha aperto un flusso di nostalgia. La nostalgia del tempo che non c’è più, di un entusiasmo che in qualche modo legava quel giornale in un momento di euforia. Era un giornale in crescita (allora i giornali riuscivano anche a crescere) che spingeva sull’acceleratore, che teneva ai rapporti. Naturalmente non tutto era idilliaco ma i rapporti erano veri, anche quelli conflittuali.E poi c’erano i rapporti di lavori con l’altra dimensione, quella della tipografia, all’ammezzato del palazzo di via del Tritone. La tipografia era un luogo vero, romano fino al midollo. Ricordo la prima volta che ci sono entrato, il giornale si faceva ancora a piombo. La tipografia sembrava un girone infernale, con i vapori del piombo che riempivano lo stanzone, le linotype che sfornavano gli articoli, i tipografi in grembiuli neri e le gambe pelose e muscolose, i modi duri. Ero un ragazzino. Poi è arrivata la stampa a freddo, l’offset i giornali si facevano con la colla e le forbici, i tipografi hanno smesso i camici ma non hanno perso il loro carattere. Lavoravano e si arrangiavano. Ricordo i tempi in cui in tipografia si andava non solo per fare il giornale ma anche per rifornirsi di film, perché c’era chi, fra gli operai, si industriava a smerciarli su videocassetta.La tipografia era il cuore del giornale, animato dal proto, una figura centrale nei giornali di quei tempi. La testa della tipografia, il terminale di ogni nostro lavoro. Dalla tipografia dipendevano molte cose, la tempestività dell’uscita del giornale, la rapidità nel confezionarlo e la disponibilità a risolvere tanti problemi. Gente come Gigi, e mi vengono in mente un altro paio di proto, Ugo Ridolfi e Renzo Mirri, erano intelligenti, disponibili, pronti a dare una mano, a segnalarti se qualcosa non andava, a essere flessibili se la tua pagina aveva un ritardo, poi ci pensavano loro a recuperare. Erano pronti anche a scherzare, disposti a condividere sentimenti di amicizia. Gente vera. Non sempre è così.
