BCE, OK AI CORONA BOND, MA AD OSTACOLARNE L’EMISSIONE SONO I PAESI DEL NORD

BCE, OK AI CORONA BOND, MA AD OSTACOLARNE L’EMISSIONE SONO I PAESI DEL NORD

Il vice presidente della Bce, Luis de Guindos, dopo le discutibili dichiarazioni delle due donne più potenti dell’Unione europea, Christine Lagarde e Ursula Von der Leyen (la prima aveva dichiarato che il mandato della Bce non prevede specifici interventi sullo spread), prova a rimediare sulla questione ‘corona bond’, dichiarando, nel corso di un’intervista alla radio spagnola Cope, di essere favorevole alla loro emissione. E la tensione si allenta un po’ sulle corde tese degli ultimi giorni, caratterizzati da una sorta di braccio di ferro tra i Paesi del Nord, da sempre ostili verso la visione di un’Europa solidale, e quelli del Sud, con il supporto esplicito del presidente Macron. De Guindos spiega alla radio spagnola che non è il momento delle divisioni ma della cooperazione, e che le ripercussioni causate dall’impatto del covid-19 sull’economia europea riguarderanno tutti, perché tutti i paesi sono in lotta contro la diffusione del virus. “E non si conosce ancora la reale portata dei danni – aggiunge l’ex ministro dell’economia spagnolo – anche se le stime sono molto più negative rispetto alla crisi che ha stretto in una morsa l’Europa nel 2008. Non si tratta nemmeno di una ‘semplice’ epidemia, ma di pandemia, e gli effetti sono ben più devastanti, dato che l’intero pianeta lotta nella stessa trincea”. A scatenare i malumori nel corso del vertice Ue dei 27, alla fine della  settimana scorsa, è stato il veto del premier italiano Conte, il quale si è indignato per la mancanza di solidarietà e l’inadeguatezza di scelte e impegni nei confronti dei paesi più colpiti dall’assedio del covid-19. Un rifiuto forse imprevedibile da parte dell’Italia, ma espresso in modo netto e deciso, con tutto lo sdegno che la circostanza comporta. Ora ci sono circa due settimane di tempo, per spazzare via la polvere caduta da questa ruggine nei rapporti tra i paesi membri, solitamente orientati verso la distensione. Tuttavia non è auspicabile che a cedere sia il premier italiano, che peraltro ha il pieno appoggio del suo omologo francese, e non è in ogni caso disposto ad accettare che l’Italia, terza economia dell’Ue, sia trattata alla stregua di un clochard all’ingresso dei palazzi di Bruxelles. I Paesi favorevoli alla linea Conte sono Irlanda, Francia, Spagna, Portogallo, Slovenia, Grecia e Lussemburgo, ossia il fronte del Sud Europa. Per sottolineare che l’Italia non è un Paese ‘inadempiente’, e che applica i criteri di ‘compliance’ nei confronti delle regole sulla finanza pubblica, Conte mette in rilievo il fatto che l’esecutivo ha chiuso il 2019 con un rapporto deficit/Pil pari a 1,6%, anziché 2,2% (come era previsto). E non è in discussione la portata del debito pubblico, “dato che – precisa il premier – ognuno si farà carico del proprio”. Intorno a metà aprile la frattura dovrebbe essere superata, in caso contrario la divergenza potrebbe diventare una mina vagante nell’equilibrio dei rapporti tra i paesi dell’Unione. I paesi contrari ai covid-bond sono gli stessi che hanno sempre rifiutato l’Unione fiscale, perché più solidi sul piano dei conti pubblici, e pertanto riottosi verso la mancanza di disciplina di quelli più esposti all’instabilità. L’Italia, a causa del suo debito pubblico elevato, è tra i paesi più vulnerabili, anche sul piano di possibili speculazioni. Tra i paesi del Nord più intransigenti verso i covid-bond, c’è l’Olanda, con il suo premier inflessibile e ostile verso queste misure finanziarie, che ritiene suscettibili di alternative. Secondo Mark Rutte, infatti, il Mes assolverebbe benissimo alle funzioni di ‘soccorso’ idonee ad una congiuntura di emergenza quale quella che l’Europa sta affrontando. Gli fanno eco  Germania, Finlandia e Austria, e non è una novità in termini di resistenza alla solidarietà verso i paesi in difficoltà. La Bce ha già comunque espresso parere favorevole agli European Recovery Bond, ed è già una porta importante che si apre per la lotta alla grave crisi economica che sta rischiando di portare in recessione l’Ue. L’emissione di strumenti finanziari come i corona bond, che permetterebbe la condivisione di un debito congiunto, è in definitiva la dimostrazione che l’Ue non è pronta per il sogno dei padri fondatori, ossia per la costituzione degli Stati Uniti d’Europa. Ma lo sarà mai fino a che  serpeggeranno egoismi e tendenza ad erigere muri per sottolineare le distanze? Vediamo in termini semplici cosa sono i covid-bond. Si tratta di strumenti che permettono ai paesi membri dell’area euro, di condividere l’onere del debito comune, ossia di suddividerlo tra tutti. Il fine è quello di ottenere liquidità affinché si possa gestire l’impatto causato dall’emergenza sanitaria  Covid-19. La presidente della Bce la scorsa settimana, in video conferenza, ha chiesto ai paesi dell’Eurozona di valutare l’ipotesi dell’utilizzo dei covid bond, quale mezzo finanziario per la lotta contro la pandemia.  In effetti i paesi che ne sostengono l’emissione ritengono che sia la soluzione più indicata in questo momento di emergenza, qualora siano progettati correttamente tenendo conto dei fondamentali finanziari. Diventerebbero pertanto dei veri e propri titoli di stato,  aumenterebbero in fin dei conti il debito in area euro, ed è questo l’oggetto del contendere. I bond comuni si rendono necessari per affrontare un’emergenza sanitaria che non ha precedenti, ed è stata proposta dal premier italiano Conte il 17 marzo scorso, quale mezzo per fare fronte alle spese straordinarie indispensabili sul fronte sanitario in particolare. Si dovrà attendere che trascorrano le due settimane di ‘ultimatum’ dell’Italia per venire a capo della divergenza tra i 27 paesi membri dell’Ue. Questo è l’intento del premier Conte, il quale voleva agitare le acque col preciso fine d’indurre i Paesi dell’Unione a contribuire in uguale misura all’impatto fortissimo causato dall’emergenza covid in atto nell’economia europea.