CONSIGLI PER UN LIBRO, “FEDELTA’ ” DI MARCO MISSIROLI

CONSIGLI PER UN LIBRO, “FEDELTA’ ” DI MARCO MISSIROLI

Marco Missiroli è uno dei più bravi – metafora calcistica: parliamo di uno che fa il campionato di Juventus, Napoli, Roma, Lazio, Milan,Inter, Torino, Atalanta, Sampdoria, Fiorentina, non, con tutto il rispetto, Carrarese e Pro Patria. Ha un pregio, che talvolta e per qualcuno può diventare un difetto: è tecnicamente perfetto. Avete presente quando si parla di *ingenuità dell’esordiente*, *libro imperfetto, con molte sbavature, ma con un gran cuore*? Ecco, la sua scrittura è all’opposto: è di una perfezione algida. Avete presente quando si dice che *un dilettante, quando sta male, scrive; un professionista, quando sta male, smette*? Quando si ascolta uno dire *Ho messo dentro tutto me stesso*, e d’istinto si pensa: *Allora il romanzo facilmente è una merda*? Ecco: Missiroli dà l’idea di metterci niente di sé stesso. «Atti osceni in luogo privato» – che amai, per me uno dei romanzi più belli degli ultimi anni – sembrava scritto da un uomo di 50 anni (l’autore è del 1981). «Bianca» era una storia potentissima, scritta con il bisturi, senza però la gelida necessità, ad esempio, della «Trilogia della città di K.». È un pregio? È un difetto? Non lo so, dipende quanto quest’impressione è perturbante. Non voglio conoscere i visceri, come disse Pontiggia, dell’autore, ma vorrei almeno – qui sono io – avere l’impressione che il narratore ami quella storia e non un’altra, che quella storia sia per l’autore come il fucile per i Marines di Full Metal Jacket: «Questa è la mia storia. Ce ne sono tante come lei, ma questa è la mia. La mia storia è la mia migliore amica, è la mia vita». Esempio di tecnica in eccesso? In «Fedeltà» a un certo punto la narrazione si sposta avanti di dieci anni. Pagina bianca, salto. Ci sono più soluzioni: uno, scrivere, semplicemente, «Dieci anni dopo», in testa alla pagina. Banale, certo. Oppure ricominciare la narrazione così: «Dieci anni dopo, Anna e Margherita…». Missiroli fa la scelta più difficile: non dice nulla. Lo racconta come se a un corso di scrittura facessero fare l’esercizio: «Scrivi quattro pagine per far capire al lettore, senza dirlo, che sono passati dieci anni». Certo, il primo comandamento ormai lo conoscono anche alle elementari: «Show, don’t say», fai vedere, non dirlo, tuttavia sono convinto che queste quattro pagine siano un avvitamento non necessario: il testo è, va da sé, se fosse stato lo svolgimento di quel tema, perfetto, ma siamo sicuri sia stata scelta la soluzione più appagante? Quindi, Fedeltà?È da leggere, sì, senza dubbio. Perché è un bel romanzo, perché è un romanzo chiacchierato, perché è un romanzo su cui molti rosicano – dove per me rosicare è: cercare specchi per arrampicate, o scuse di genere vario, da Soros alle manine, per l’incapacità di elogiare chi, semplicemente, è più bravo -, perché ci sono alcune magie. Una, l’effetto più bello, proprio figo in assoluto, è la narrazione in dissolvenza: non c’è discontinuità tra una scena e l’altra, Missiroli sceglie di sfumare su un personaggio e inquadrare subito un altro e continuare il racconto; si sfuma su una frase, un odore, un colore, in un susseguirsi di associazioni di suggestioni che hanno spesso un effetto di goduria pura. Bravissimo. Due, la forza della nostalgia. Molto più nel racconto pluridecennale di «Atti osceni», ma anche in «Fedeltà», nella seconda parte, ho avuto lampi di nostalgia acuta, per quel modo tutto missiroliano di raccontare il passare del tempo, dovessi scegliere un’immagine direi questa: in un eterno ultimo giorno di scuola nell’anno della maturità, la festa di fine anno in spiaggia, prendo una birra e siedo da solo sugli scogli, guardo gli altri lontani, le luci, le barche dei pescatori, la musica che arriva smorzata, essere un passo a lato, come se soltanto così si potesse sfuggire alla vita – soltanto guardandola da lì. E per la bravura nell’esposizione dei dettagli, una bravura che sì, è da scuola di scrittura, che lui risolve, appunto, in termini di scrittura.Facile, no?Provateci voi.