IL CROCEFISSO DEL MAESTRO DI SAN FRANCESCO E LA PROPAGANDA FRANCESCANA
Non c’è visitatore dellaGalleria Nazionale dell’Umbriache non rimanga colpito dalla grande croce dipinta nel 1272 dal Maestro di San Francesco. Alta quasi 5 metri chissà quali e quanti pensieri suscita e ha suscitato in chi la vide in alto dentro la chiesa perugina di San Francesco al Prato presumibilmente collegato al paliotto a due facce delle stesso autore conservato anch’esso in Galleria. Guardandola la prima cosa che mi succede è avvertire dei rumori: quello della sega con la quale le tagliarono il braccio destro pare per farla entrare in Pinacoteca, e il botto che sentirono i frati del convento di san Francesco ad Assisi quando verso la fine del ‘600 precipitò a terra il grande crocefisso di Giunta Pisano nella basilica superiore. Grazie a un più piccolo crocefisso a Santa Maria degli Angeli sempre di Giunta possiamo immaginare come fosse quell’opera fondamentale nella storia dell’arte italiana nella quale, forse per la prima volta in Italia, Gesù era rappresentato nell’immagine del Christus patiens che mostrava le sofferenze umane subite nel suo calvario. Un crocefisso così aderente alla spiritualità francescana che nell’espansione dell’Ordine divenne un prototipo da ripetere nei conventi. Uno di questi è quello del Maestro di san Francesco, uno dei massimi livelli della pittura italiana del Duecento nel periodo che sta tra Giunta e Cimabue. Colori elementari e vividi ricordano le vetrate delle chiese, testa del Cristo incassata nel collo, volto marcato, corpo incurvato ricomposto nella calma della morte che l’ha appena liberato dagli spasmi patiti nell’agonia, ai suoi piedi teneramente reale la figurina di san Francesco in intimo colloquio con il sangue di Cristo a voler dire l’analogia della vita del Poverello d’Assisi con quella di Gesù. A ricordare, come senza posa faceva la propaganda francescana, che Francesco portava nel corpo le stimmate e le sofferenze del figlio di Dio, e che i francescani erano i suoi eredi.
